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Il quadro giuridico per l’intervento estrattivo in zone tutelate - percorsi possibili
di
prof. avv. Marco Sertorio
Presidente Settore Minerario
*** *** ***
Premessa.
Il tema del rapporto tra attività estrattiva (con particolare riferimento a quella relativa alle miniere) e
tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio si è fatto sempre più complicato e spesso
conflittuale.
L’intervento estrattivo è visto e sentito come “distruttivo” del territorio e per altro verso esso è
dedicato al recupero di minerali strategici per l’economia del Paese, così che la conflittualità ed in
prospettiva la soluzione della stessa si pone tra due interessi pubblici: un primo e prioritario
connesso alla tutela del territorio e dell’ambiente ed un secondo di carattere produttivo pur sempre
di pubblico interesse.
Essendo la presente relazione dedicata al profilo giuridico di tale rapporto, è opportuno evidenziare
come sia stato disciplinato nel nostro ordinamento il percorso estrattivo nel nostro Paese con
riferimento ai due profili conflittuali sopra tratteggiati.
1. La disciplina mineraria italiana.
Essa è contenuta nel R.D. 29 luglio 1927 n. 1443 (di seguito indicata con l’acronimo L.M.).
Tale normativa è esclusivamente imperniata sul profilo del massimo recupero delle risorse
minerarie presenti sul territorio nazionale.
Era il periodo della rivoluzione economico-industriale.
E così la normativa è connotata e condizionata dal periodo economico sociale da cui è sorta: essa ha
preso le mosse dal carattere strategico di tali minerali per l’economia nazionale; su questa base ha
incluso i relativi giacimenti al patrimonio indisponibile dello Stato1
.
1
Oggi nel patrimonio indisponibile delle Regioni ex legge n. 83/2012.
2
1.1 La collocazione nel patrimonio indisponibile ha il preciso significato che i giacimenti in oggetto
debbono essere coltivati nel pubblico interesse nazionale.
Quale prima attuazione la L.M. ha previsto l’istituto della “ricerca”, che è tesa ad individuare le
risorse minerarie nel Paese, al fine, poi, di passare alla fase successiva della coltivazione a mezzo di
concessione.
Si evidenzia, così, che la finalità perseguita dall’ordinamento risiede nel massimo reperimento di
tali risorse di pubblico interesse per la successiva estrazione.
Per questo, a rafforzare la “ricerca”, la norma prevede che il diritto del proprietario del suolo
(oggetto della ricerca) sia sottomesso nell’interesse pubblico ed è quindi soggetto a subirla,
residuandogli solo il diritto ad un indennizzo limitatamente al solo danno del soprassuolo (cultura
agraria) che è di modesta entità.
1.2 Il passaggio finale è costituito dalla concessione mineraria.
Questa costituisce titolo per la coltivazione della miniera.
La legge non pone termini di durata della concessione mineraria: normalmente viene fissata una
durata ventennale/trentennale a seconda della rilevanza del giacimento e del programma di
coltivazione.
Alla scadenza la concessione può essere rinnovata.
La concessione mineraria ha avuto sino agli anni ’90 come unico oggetto la coltivazione del
giacimento.
Successivamente si sono aggiunte anche le prescrizioni di recupero ambientale (ad analogia con le
cave).
I proprietari del suolo devono subire i lavori di coltivazione mineraria restando così limitato il loro
diritto al solo indennizzo per il danno al suolo (nessun diritto sul minerale estratto).
La concessione mineraria attribuisce al concessionario una esclusiva, impedendo a terzi di operare
attività estrattiva nell’area di concessione; il concessionario è tenuto a coltivare in via continuativa
ed adeguata il giacimento sino al suo esaurimento: in difetto è soggetto alla sanzione della
decadenza della concessione.
3
1.3 La L.M. non spende una sola parola a riguardo del rapporto con la tutela del territorio,
dell’ambiente e delle bellezze naturali.
Questa “omissione” di nascita ha creato per un verso deturpamenti e manomissioni del territorio,
talora irrecuperabili, in quanto per decenni la coltivazione mineraria è stata attuata senza
l’accompagnamento di prescrizioni a tutela di tali valori: da qui la discrasia tra intervento estrattivo
e tutela del territorio, tanto più grave in assenza di rimedi preventivi.
1.4 Nel progredire del tempo si è creata una nuova sensibilità ed una attenzione dedicata ai profili di
tutela territoriale ed ambientale, con riflesso modificativo della stessa concezione di politica
economica, oggi fondata sul diverso parametro (rispetto al passato) dello “sviluppo sostenibile”.
Questa nuova sensibilità e concezione hanno portato una serie di normative a tutela del territorio e
dell’ambiente, che si sono trovate a confliggere con la normativa mineraria, che, purtroppo, è
rimasta immutata alla concezione originaria senza farsi carico della esigenza di superare l’intima
contraddizione con quella di tutela del territorio e dell’ambiente che - per loro natura - hanno
carattere prevalente rispetto all’interesse economico seppure di carattere pubblicistico.
E proprio nell’inerzia di una rivisitazione sostanziale della L.M. nei confronti di tali valori risiede la
prima causa della conflittualità che ne è derivata sul piano operativo, dove la precedenza dei valori
ambientali e paesaggistici ha via via costituito una pregiudiziale ostativa alla attività estrattiva.
Così, a partire dagli anni ’80, Stato, Regioni e Comuni hanno “coperto” il vuoto lasciato dalla L.M.
con una serie di vincoli ex lege, pianificazioni territoriali, piani regolatori, ecc. ed hanno reso
sempre più complesso e difficile il contemperamento tra l’attività mineraria (seppure strategica nel
pubblico interesse) vis à vis degli altri interessi pubblici prevalenti (territorio e ambiente).
2. Vincoli territoriali ed ambientali e attività mineraria.
Si riportano brevemente in rassegna i vincoli principali di tale natura.
2.1 Vincolo idrogeologico ed attività mineraria.
La disciplina istitutiva (R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267) prevede la possibilità di sottoporre a
vincolo idrogeologico i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di
utilizzazione contrastanti con le norme negli articoli 7, 8 e 9 possono, con danno pubblico subire
4
denudazioni2
, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque; pertanto al vincolo stesso possono
essere sottoposti terreni di qualsiasi natura e destinazione purchè sussista il fine precipuo di
pubblico interesse di evitare le denudazioni, la perdita di stabilità o il turbamento del regime delle
acque3
.
La giurisprudenza in materia ha progressivamente ampliato la sfera di incidenza del vincolo
idrogeologico, ribadendo la necessità del relativo provvedimento autorizzatorio con riferimento ad
ogni attività di trasformazione del territorio che comportasse danno all’assetto idrogeologico dei
luoghi.
Secondo il citato indirizzo interpretativo, sono stati ricompresi nelle attività di utilizzazione del
suolo vincolato che necessitano di specifica autorizzazione anche l’attività estrattiva di cava e i
lavori di sfruttamento minerario4
.
2
Attenta dottrina (ABRAMI, Esercizio della selvicoltura e dissodamento del terreno forestale, Dir. e Giur. Agr.,
1994, 47), ha rilevato come il vicolo imposto ai sensi della citata legge 30 dicembre 1923 n. 3267 consegue alla
necessità di difendere il suolo preservandolo da trasformazioni che possono determinare perdita di stabilità o
turbamento del regime delle acque, mentre il vincolo imposto ex lege (articolo 146 D.L.gs. 29 ottobre 1991 n. 490,
T.U. sui beni culturali) concerne invece il bosco considerato nel suo insieme e per le utilità che può fornire alla
collettività. La diversità dei fini perseguiti dalle citate disposizioni legislative e la conseguente diversità di
discipline applicabili impongono pertanto all’interprete di valutare attentamente la collocazione territoriale del bosco
o della foresta al fine di determinare l’esatta natura del vincolo che su tali beni può gravare.
3
Con riferimento all’imposizione del vincolo idrogeologico, la Suprema Corte (Cass., 17 giugno 1996, n. 5520,
Mass., 1996) ha affermato che “ i vincoli per scopi idrogeologici, ai quali possono essere sottoposti i terreni che
possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità, o turbare il regime delle acque (art. 1 R.D.l.
n. 3267 del 1923), costituiscono vere e proprie limitazioni della proprietà nell’interesse pubblico, in quanto le
relative a norme attribuiscono agli organi della P.A. competenti in materia di agricoltura e foreste poteri
discrezionali incidenti sul libero esercizio del diritto di proprietà, limitandolo in vario modo. Ne deriva che il diritto
del privato, sottoposto all’indicato potere discrezionale, sia nel momento dell’imposizione del vincolo che in quello
successivo della gestione del bene, degrada ad interesse legittimo”.
4
CERUTI, Note in tema di coordinamento tra interessi ambientali e produttivi, Riv. Giur. Ambiente, 1998, 947. Con
riferimento all’attività di coltivazione di miniera il citato Autore segnala la pronuncia del Consiglio di Stato in data
29 novembre 1988, n. 1288 (Riv. Amm., 1989, 293). Di fondamentale importanza ai fini sopra indicati è inoltre una
pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale, 15 luglio 1985, n. 201, Foro It., 1988, I, 64) che afferma
che l’autorizzazione di cui alla citata legge 30 dicembre 1923 n. 1497 “occorre per qualsiasi trasformazione del
suolo”.
5
Venendo in rilievo la tutela della stabilità del territorio e della sicurezza, anche a questo proposito il
costante insegnamento giurisprudenziale è nel senso di riconoscere la priorità del bene oggetto del
vincolo in parola, stabilendo che non può attuarsi attività estrattiva, se non previa autorizzazione ai
fini del vincolo idrogeologico contenente la prescrizione dettata.
Sulla priorità di tutela del vincolo idrogeologico l’orientamento della giurisprudenza amministrativa
si è mantenuto costante nel tempo.
L’Organo, nella specie la Regione5
, preposto alla tutela di tale aspetto territoriale dovrà accertare (e
valutare) se dall’intervento estrattivo (asportazione del giacimento e quindi di parte del suolo) possa
derivare danno a fini idrogeologici del sito.
Fermo il principio di cui sopra, sul piano applicativo, venendo solo in rilievo l’aspetto tecnico
(accertamento che il progetto di coltivazione delle miniere non comprometta la stabilità del suolo)
non sono sorti gravi e frequenti problemi, essendosi trovata soluzione naturale nella modifica
progettuale dell’intervento estrattivo.
2.2. Vincolo paesaggistico e attività mineraria.
Questo vincolo, nato in sordina con la legge 29 giugno 1939 n. 1497, si è trasformato in estensione
e vincolatività dapprima con la legge 8 agosto 1985 n. 431 e quindi con le successive modifiche
confluite oggi nel D. Lgs. n. 342/2004.
2.2.1. Un primo tema: l’estensione territoriale di tale vincolo.
Mentre prima del 1984 il vincolo era apposto tramite D.M. della Pubblica Istruzione su ben
individuati immobili da tutelare, a partire dalla citata legge del 1984 il vincolo è ex lege disposto per
categorie di beni: corsi d’acqua, mari, laghi, boschi, zone umide, parchi naturali, ecc…., altitudine
dei luoghi.
Attraverso questa operazione gran parte del territorio nazionale è soggetto a tale vincolo.
Solo per dare una indicazione di massima della rilevanza di tale vincolo sulla attività estrattiva si
segnala come circa il 60% dei siti estrattivi (concernenti minerali industriali) ricadano sotto questo
vincolo.
5
Oggi la competenza al rilascio dell’autorizzazione in oggetto è la Regione o l’ente delegato da quest’ultima, in
virtù del trasferimento di competenze operato dall’articolo 69 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
6
2.2.2. Rapporto tra vincolo paesaggistico e attività mineraria.
Il punto di partenza è incentrato nel principio fondamentale che fissa la priorità della tutela
paesaggistica sugli interessi economici anche se di pubblico interesse (quale è l’attività mineraria):
le citazioni bibliografiche sono superflue.
Per un inquadramento generale si richiama la sentenza del Consiglio di Stato6
.
Tale principio, tuttavia, ha una attenuazione applicativa nel senso che la norma impone che
l’Amministrazione (Regione), deputata alla tutela del vincolo, confronti l’interesse sotteso al
vincolo con quello produttivo di pubblico interesse (nella specie, minerario) e ricerchi innanzitutto i
contemperamenti e la coesistenza attraverso prescrizioni atte ad eliminare o attutire i riflessi
negativi che possono derivare dalla attività estrattiva.
Il punto dolente specifico a riguardo della comparazione di due interessi pubblici risiede proprio
nella valutazione che l’Amministrazione è chiamata ad effettuare.
A rendere ancora più complicata l’operazione è la concatenazione del meccanismo disposto dalla
legge tra ruolo regionale e Soprintendenza a riguardo dell’attività estrattiva che abbia ad oggetto
area soggetta a vincolo paesistico.
In questo caso, infatti, è previsto il “parere vincolante” della Soprintendenza rispetto
all’autorizzazione regionale, così che in presenza di “parere negativo” la Regione è tenuta a
denegare l’autorizzazione paesaggistica.
E’ già distorsivo di per sé che sia demandato ad un organo consultivo (nella specie, Soprintendenza)
il “si” o il “no”, ma è oltre tutto improprio che la valutazione sia demandata ad Organo con ottica e
preparazione professionale solo estetica, laddove la comparazione riguardi in parallelo la
valutazione di un intervento di pubblico interesse produttivo sul territorio7
.
6
Consiglio di Stato 29 gennaio 2013 n. 534.
7
Si fa seguire una breve excursus di dottrina e giurisprudenza sul punto che dà indicazioni, ma non è in grado di offrire
soluzioni in concreto:
“Non si può prescindere dal fatto che anche i beni protetti spesso hanno una forte potenzialità di sviluppo economico e
dunque una valenza dinamica per la qual cosa necessariamente si dovrà comparare l’interesse pubblico alla loro tutela
con quello economico al loro sfruttamento” (così VACCARELLA, La disciplina delle attività estrattive
nell’amministrazione del territorio, GIAPPICHELLI Ed., Torino, 2010, pag. 104).
Nello stesso senso si è espressa la più recente giurisprudenza amministrativa che ha ripetutamente avuto modo di
affermare come pur essendo il “paesaggio” valore di primaria rilevanza, il concetto stesso di paesaggio debba
comunque essere inteso in senso “dinamico” e non statico e per altro verso come occorra effettuare una comparazione
tra i vari interessi tutelati.
In tal senso si richiama TAR Sicilia - Catania, I, 22 maggio 2002, n. 900, che ha avuto modo di osservare come il potere
autorizzatorio, il cui esercizio costituisce l’atto di gestione del vincolo, va esercitato alla stregua della norma attributiva
7
Facendo forza sul “passaggio” giuridico esposto nella nota 7 si potrà agevolare la soluzione di
armonizzazione di due interessi contrapposti.
2.3. Attività mineraria e Parco.
2.3.1 Le attività di miniera subiscono tutta una serie di limitazioni, laddove ricadano in parchi
naturali.
a) Innanzi tutto quella che discende direttamente dalla legge: dall’art. 11 della Legge 6 dicembre
1991 n. 394 che stabilisce, in via di principio, il divieto di aprire ed esercitare miniera e cava; per i
parchi regionali analoghi divieti sono previsti nelle leggi regionali in materia;
b) una specifica disciplina, anche derogatoria rispetto al principio sopra ricordato, è contenuta nei
regolamenti del parco (artt. 11 comma 4 e 23 comma 1 della legge n. 394 del 1991)8
.
c) infine il piano del parco, nell’individuare le zone in cui è possibile svolgere l’attività estrattiva,
può inserire nelle “aree di promozione economica e sociale” le aree già destinate ad attività
estrattiva, per consentirne la promozione con un recupero (e/o riutilizzo) finale del sito9
.
non soltanto avuto riguardo ad un accertamento di compatibilità coi valori paesaggistici, ma anche con riferimento al
principio di proporzionalità.
nello stesso senso si è espresso TAR Campania - Napoli, IV, 7 luglio 2003, n. 5195, secondo cui è necessario attuare un
contemperamento tra valore di tutela e comprensione dell’interesse antagonista, da effettuarsi in relazione alla specifica
attività considerata e non dando per scontata una incondizionata prevalenza del bene tutelato.
Inoltre si richiama TAR Sicilia - Palermo, II, 4 febbraio 2005, n. 150, che ha avuto modo di affermare che nel possibile
conflitto tra esigenze correlate all’esercizio dell’attività imprenditoriale e quelle sottese alla tutela di valori non
economici (come la tutela del paesaggio), l’amministrazione ha il compito di ricercare “non già il totale sacrificio delle
une e la preservazione delle altre secondo una logica meramente inibitoria, ma deve ricercare una soluzione
necessariamente comparativa della dialettica tra le esigenze dell’impresa e quelle afferenti a valori non economici,
tutte rilevanti in sede di esercizio di potere amministrativo di autorizzazione alla realizzazione di attività
imprenditoriali”.
Ed ancora TAR Sicilia - Palermo, II, 4 maggio 2007, n. 1252.
8
Si riportano al riguardo le puntuali precisazioni del Verino (Miniere, cave e parchi naturali, in Atti del 2° Convegno di
diritto minerario, Roma 2002, 174): “le norme regolamentari possono però disporre deroghe per le attività già in
corso, contemperando la conservazione delle attività imprenditoriali in atto con le esigenze di tutela dell’ambiente del
nuovo parco. Il regolamento può inoltre disciplinare il recupero delle cave abbandonate e la sistemazione delle aree
delle cave la cui attività cessi a seguito dell’istituzione del parco. Il regolamento può altresì consentire il
proseguimento dell’attività ed anche, per le cave abbandonate, l’inizio di una nuova attività, seppure contenuta nei
limiti necessari per conseguire il recupero e la sistemazione ambientale delle aree interessate dall’attività cessata. Il
regolamento dovrà però, in tal caso, individuare altresì le modalità di svolgimento di dette attività nonché gli oneri e le
garanzie a carico dei soggetti autorizzati a svolgerle. Lo stesso regolamento potrebbe ancora disciplinare lo
sfruttamento dei materiali estratti nel corso delle attività di recupero nonché l’utilizzazione delle aree delle cave non
più in esercizio, dopo la loro sistemazione, per fini compatibili con la tutela ambientale (campi sportivi, laghi per la
pesca sportiva, parchi attrezzati, ecc…)”.
9
VERINO, op. cit., 175.
8
A conclusione di questo tratteggio di panorama sul rapporto in oggetto si segnalano due recenti
sentenze del Consiglio di Stato10
che hanno in concreto ribadito come la normativa sui parchi non
ponga divieti di carattere assoluto: donde in assenza di specifiche misure di natura regolamentare,
l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione è tenuta a verificare la compatibilità dell’attività
estrattiva con gli interessi tutelati, adottando possibili soluzioni oltre a contemperare gli interessi
opposti.
E proprio con riferimento a tale ultimo profilo si sottolinea che l’art. 13 della legge sui parchi ha
subordinato il rilascio delle concessioni ed autorizzazioni relative ad interventi all’interno del parco
al nulla osta dell’Ente parco.
Ed ancora di recente la giurisprudenza ha consentito l’ammissibilità dell’attività mineraria nei
Parchi, sottolineando come “le aree soggette al regime ordinario dei parchi, seppure organizzate con
preminente riguardo alle esigenze di protezione dell’ambiente e della natura, non sono sottratte alle
esigenze di sviluppo alle attività atte a fornire la crescita economica11
.
2.4. Attività mineraria e PRGC.
Il tema di questo rapporto è tormentato.
Occorre premettere che l’ambito della pianificazione urbanistica abbraccia ogni categoria di beni
immobili, anche se appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato quali ad esempio le
miniere12
.
Nello specchio di una rivisitazione globale del tema, esteso anche alle miniere, pare interessante,
per una migliore comprensione, offrire la visualizzazione dello sviluppo negli ultimi anni di questa
importante tematica.
Per le miniere in origine si era delineato l’indirizzo secondo cui i lavori di ricerca e di coltivazione
mineraria non trovavano limite nella diversa destinazione urbanistica della zona13.
10
Cons. Stato, 14 maggio 1999, Riv. Giur. Ambiente, 2000, 748; Cons. Stato, 8 ottobre 2001, ined..
11
TAR Lombardia, 7 marzo 2001, n. 2671; TAR Campania, 15 aprile 1999, n. 1044; Cons. Stato, 8 ottobre 2001,
richiamata in PAIRE, Le attività estrattive, Milano, GIUFFRE’, 2014, 17.
12
Per completezza di disamina si fa rilevare come il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 abbia trasferito alle Regioni la
competenza esclusiva in materia urbanistica. Restano allo Stato unicamente le funzioni di indirizzo e di
coordinamento dell’assetto e della tutela del territorio (CARINGELLA, DELPINO, DEL GIUDICE, op. cit., Napoli
1999, 646). Più specificatamente sono di competenza regionale i Piani Territoriali di coordinamento e di tutela
ambientale; di competenza provinciale i Piani Provinciali territoriali di coordinamento; e di competenza comunale i
Piani intercomunali e i Piani Regolatori Generali.
9
Successivamente e a seguito in particolare del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, si formò un diverso
orientamento secondo cui l’autorità statale nell’emanare provvedimenti concessivi in materia
mineraria non può incidere su vincoli di destinazione urbanistica senza una preventiva intesa con
l’autorità regionale e locale, intesa che deve essere raggiunta seguendo la procedura dell’articolo 81
del citato provvedimento normativo.
Sul tema si può segnalare la decisione del Consiglio di Stato in data 5 ottobre 1984, n. 57114 la
quale ha stabilito che l’autorità statale, nell’emanare provvedimenti concessivi in materia mineraria,
non può incidere su vincoli paesaggistici e di destinazione urbanistica senza una preventiva intesa
con l’autorità regionale e locale, intesa che deve essere raggiunta seguendo la procedura prevista
dall’articolo 81 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
Alla luce di tale indirizzo l’attività mineraria ha sofferto e soffre difficoltà di estrinsecazione a
fronte di destinazioni urbanistiche confliggenti e di soluzione non agevole.
3. Indicazione di percorsi utili ad armonizzare l’attuazione dei due interessi nella convivenza.
I due “quadri” sopra descritti rappresentano per un verso la dualità insita nel rapporto attività
estrattiva e protezione dell’ambiente e del territorio e per altro verso come storicamente si sia
originata e sviluppata: ora restano da esaminare sotto un profilo propositivo le vie che si possono
aprire per cercare di superare i nodi di incomprensione pregiudiziale reciproca e quelli di carattere
giuridico e di armonizzazione progettuale (che combini i due aspetti), così da trasformare i “nodi”
in “snodi”.
3.1. Un primo punto da mettere a fuoco è di natura concettuale, volto a superare il dualismo
(contrapposizione) attraverso una revisione prospettica nel cercare di combinare i due valori.
13
Cass., 2 dicembre 1977, n. 5246 (Giust. Civ., 1987, 461) che ha fissato la seguente massima: “Il riconoscimento
da parte dello Stato per mezzo dei propri competenti organi amministrativi e tecnici, delle condizioni di idoneità del
proprietario del fondo, scopritore della miniera, per l’esercizio del relativo sfruttamento ed il rilascio della
concessione stessa , costituendo esercizio del diritto di proprietà dello Stato sulla miniera con l’attribuzione al
detto privato concessionario del diritto di utilizzazione della medesima, mutano la destinazione del fondo oggetto
della concessione, dovendo esso essere destinato al detto uso e sfruttamento; la concessione comporta pertanto il
sorgere di un’impresa, che deve svolgersi con il carattere di industria privata sulla miniera, alla quale resta
subordinata la coltivazione agricola del fondo; anche i possessori di questo non possono quindi opporsi alle opere
inerenti alla concessione e considerate dall’art. 32 R.D. 29 luglio 1927 n. 1443 di pubblica utilità; contro l’atto
amministrativo di concessione non vale perciò né l’eventuale vincolo derivante dal carattere rurale della zona,
riconosciuto dal piano regolatore comunale né la proroga del contratto di affitto a scopo agricolo, che viene
pertanto a cessare”.
14
Giust. Civ., 1985, I, 935.
10
Sotto il profilo minerario sottolineare la particolare valenza di alcuni minerali strategici ed il loro
recupero secondo il modello dello sviluppo sostenibile.
Sotto il profilo della tutela dei valori territoriale ed ambientali, eliminando prese di posizione a
priori e ricercando un’armonizzazione attraverso anche prescrizioni aggiuntive, compensative e di
riutilizzo dei siti estrattivi.
3.2. In questo percorso esiste già in atto l’iniziativa Europea.
L’avvio è stato dato con la Comunicazione 4 dicembre 2008 che ha sottolineato:
a) da un lato avere l’UE sottolineato la rilevanza strategica per l’interesse economico comunitario di
metalli ad alta tecnologie (cobalto, platino, terre rare e titanio), che svolgono “un ruolo prevalente
nello sviluppo delle tecnologie ambientali innovative destinate a rafforzare l’efficacia energetica e a
ridurre le emissioni di gas ad effetto serra”.
b) il principio di priorità nella politica regolamentare per agevolare l’accesso alle materie prime.
Con la comunicazione 2 febbraio 2011 la Comunità ha inserito questo processo nelle strategie
Europee 2020 per una cernita intelligente, sostenibile e innocua, tesa ad incoraggiare l’industria
estrattiva.
3.2.1. Sempre su questo versante ed in coerenza con l’indirizzo della Comunità il nostro Ministero
dello Sviluppo Economico sta elaborando un documento di indirizzo, da rivolgere anche alle
Regioni ed agli Enti locali, affinché recepiscono nelle loro pianificazioni territoriali di tali risorse,
cercando di armonizzare la realizzazione di due aspetti.
3.3. Proprio in questa direzione si pone una recente sentenza del TAR Lazio15
, la quale, a fronte
dell’impugnazione di un parere negativo (vincolante) della Soprintendenza ai Beni Culturali ed
Ambientali, in presenza di una valutazione VIA positiva regionale (condannata a risolversi
negativamente a causa del parere negativo della Soprintendenza) ha “suggerito” alla Regione di
farsi parte attiva con la Soprintendenza per chiedere una rivisitazione ed una ripensamento del
parere (negativo) alla luce dei rilievi espressi in sede di VIA, confidando in una revisione del parere
da negativo a positivo.
15
TAR Lazio, Sez. II Quater, REG. RIC. 04317/2011, depositata 26 febbraio 2014, (inedita).
11
È importante questo “passaggio”, perché rompe il meccanismo perverso del “miet” per sospingere i
due Enti a collaborare per la ricerca di un “si” meditato e attraverso previsioni e prescrizioni utili a
minimizzare l’impatto sul territori.
3.4. Da ultimo, si impone di ripensare la materia anche sotto un profilo di progettazione a riguardo
del riutilizzo finale del sito estrattivo al termine della coltivazione.
Dove non sia possibile un recupero ambientale che ricostituisce la morfologia e sistemazione
vegetazione precedenti, occorrerà, coniugando studi architettonici e previsione di fruizione
economica alternativa di carattere socio-economico, culturale e turistica, prevedere un riutilizzo
che possa inserirsi nel contesto territoriale della zona, modificando le sue connotazioni originarie,
ma offrendo un risvolto o un riutilizzo che si collochi positivamente nel territorio e con gli interessi
socio-economici connessi.
È uno stimolo propositivo per operatori, tecnici ed Amministrazione pubblica.

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Convegno Gorno 2014: Marco Sertorio, presidente settore minerario ASSOMINERARIA

  • 1. Il quadro giuridico per l’intervento estrattivo in zone tutelate - percorsi possibili di prof. avv. Marco Sertorio Presidente Settore Minerario *** *** *** Premessa. Il tema del rapporto tra attività estrattiva (con particolare riferimento a quella relativa alle miniere) e tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio si è fatto sempre più complicato e spesso conflittuale. L’intervento estrattivo è visto e sentito come “distruttivo” del territorio e per altro verso esso è dedicato al recupero di minerali strategici per l’economia del Paese, così che la conflittualità ed in prospettiva la soluzione della stessa si pone tra due interessi pubblici: un primo e prioritario connesso alla tutela del territorio e dell’ambiente ed un secondo di carattere produttivo pur sempre di pubblico interesse. Essendo la presente relazione dedicata al profilo giuridico di tale rapporto, è opportuno evidenziare come sia stato disciplinato nel nostro ordinamento il percorso estrattivo nel nostro Paese con riferimento ai due profili conflittuali sopra tratteggiati. 1. La disciplina mineraria italiana. Essa è contenuta nel R.D. 29 luglio 1927 n. 1443 (di seguito indicata con l’acronimo L.M.). Tale normativa è esclusivamente imperniata sul profilo del massimo recupero delle risorse minerarie presenti sul territorio nazionale. Era il periodo della rivoluzione economico-industriale. E così la normativa è connotata e condizionata dal periodo economico sociale da cui è sorta: essa ha preso le mosse dal carattere strategico di tali minerali per l’economia nazionale; su questa base ha incluso i relativi giacimenti al patrimonio indisponibile dello Stato1 . 1 Oggi nel patrimonio indisponibile delle Regioni ex legge n. 83/2012.
  • 2. 2 1.1 La collocazione nel patrimonio indisponibile ha il preciso significato che i giacimenti in oggetto debbono essere coltivati nel pubblico interesse nazionale. Quale prima attuazione la L.M. ha previsto l’istituto della “ricerca”, che è tesa ad individuare le risorse minerarie nel Paese, al fine, poi, di passare alla fase successiva della coltivazione a mezzo di concessione. Si evidenzia, così, che la finalità perseguita dall’ordinamento risiede nel massimo reperimento di tali risorse di pubblico interesse per la successiva estrazione. Per questo, a rafforzare la “ricerca”, la norma prevede che il diritto del proprietario del suolo (oggetto della ricerca) sia sottomesso nell’interesse pubblico ed è quindi soggetto a subirla, residuandogli solo il diritto ad un indennizzo limitatamente al solo danno del soprassuolo (cultura agraria) che è di modesta entità. 1.2 Il passaggio finale è costituito dalla concessione mineraria. Questa costituisce titolo per la coltivazione della miniera. La legge non pone termini di durata della concessione mineraria: normalmente viene fissata una durata ventennale/trentennale a seconda della rilevanza del giacimento e del programma di coltivazione. Alla scadenza la concessione può essere rinnovata. La concessione mineraria ha avuto sino agli anni ’90 come unico oggetto la coltivazione del giacimento. Successivamente si sono aggiunte anche le prescrizioni di recupero ambientale (ad analogia con le cave). I proprietari del suolo devono subire i lavori di coltivazione mineraria restando così limitato il loro diritto al solo indennizzo per il danno al suolo (nessun diritto sul minerale estratto). La concessione mineraria attribuisce al concessionario una esclusiva, impedendo a terzi di operare attività estrattiva nell’area di concessione; il concessionario è tenuto a coltivare in via continuativa ed adeguata il giacimento sino al suo esaurimento: in difetto è soggetto alla sanzione della decadenza della concessione.
  • 3. 3 1.3 La L.M. non spende una sola parola a riguardo del rapporto con la tutela del territorio, dell’ambiente e delle bellezze naturali. Questa “omissione” di nascita ha creato per un verso deturpamenti e manomissioni del territorio, talora irrecuperabili, in quanto per decenni la coltivazione mineraria è stata attuata senza l’accompagnamento di prescrizioni a tutela di tali valori: da qui la discrasia tra intervento estrattivo e tutela del territorio, tanto più grave in assenza di rimedi preventivi. 1.4 Nel progredire del tempo si è creata una nuova sensibilità ed una attenzione dedicata ai profili di tutela territoriale ed ambientale, con riflesso modificativo della stessa concezione di politica economica, oggi fondata sul diverso parametro (rispetto al passato) dello “sviluppo sostenibile”. Questa nuova sensibilità e concezione hanno portato una serie di normative a tutela del territorio e dell’ambiente, che si sono trovate a confliggere con la normativa mineraria, che, purtroppo, è rimasta immutata alla concezione originaria senza farsi carico della esigenza di superare l’intima contraddizione con quella di tutela del territorio e dell’ambiente che - per loro natura - hanno carattere prevalente rispetto all’interesse economico seppure di carattere pubblicistico. E proprio nell’inerzia di una rivisitazione sostanziale della L.M. nei confronti di tali valori risiede la prima causa della conflittualità che ne è derivata sul piano operativo, dove la precedenza dei valori ambientali e paesaggistici ha via via costituito una pregiudiziale ostativa alla attività estrattiva. Così, a partire dagli anni ’80, Stato, Regioni e Comuni hanno “coperto” il vuoto lasciato dalla L.M. con una serie di vincoli ex lege, pianificazioni territoriali, piani regolatori, ecc. ed hanno reso sempre più complesso e difficile il contemperamento tra l’attività mineraria (seppure strategica nel pubblico interesse) vis à vis degli altri interessi pubblici prevalenti (territorio e ambiente). 2. Vincoli territoriali ed ambientali e attività mineraria. Si riportano brevemente in rassegna i vincoli principali di tale natura. 2.1 Vincolo idrogeologico ed attività mineraria. La disciplina istitutiva (R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267) prevede la possibilità di sottoporre a vincolo idrogeologico i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme negli articoli 7, 8 e 9 possono, con danno pubblico subire
  • 4. 4 denudazioni2 , perdere la stabilità o turbare il regime delle acque; pertanto al vincolo stesso possono essere sottoposti terreni di qualsiasi natura e destinazione purchè sussista il fine precipuo di pubblico interesse di evitare le denudazioni, la perdita di stabilità o il turbamento del regime delle acque3 . La giurisprudenza in materia ha progressivamente ampliato la sfera di incidenza del vincolo idrogeologico, ribadendo la necessità del relativo provvedimento autorizzatorio con riferimento ad ogni attività di trasformazione del territorio che comportasse danno all’assetto idrogeologico dei luoghi. Secondo il citato indirizzo interpretativo, sono stati ricompresi nelle attività di utilizzazione del suolo vincolato che necessitano di specifica autorizzazione anche l’attività estrattiva di cava e i lavori di sfruttamento minerario4 . 2 Attenta dottrina (ABRAMI, Esercizio della selvicoltura e dissodamento del terreno forestale, Dir. e Giur. Agr., 1994, 47), ha rilevato come il vicolo imposto ai sensi della citata legge 30 dicembre 1923 n. 3267 consegue alla necessità di difendere il suolo preservandolo da trasformazioni che possono determinare perdita di stabilità o turbamento del regime delle acque, mentre il vincolo imposto ex lege (articolo 146 D.L.gs. 29 ottobre 1991 n. 490, T.U. sui beni culturali) concerne invece il bosco considerato nel suo insieme e per le utilità che può fornire alla collettività. La diversità dei fini perseguiti dalle citate disposizioni legislative e la conseguente diversità di discipline applicabili impongono pertanto all’interprete di valutare attentamente la collocazione territoriale del bosco o della foresta al fine di determinare l’esatta natura del vincolo che su tali beni può gravare. 3 Con riferimento all’imposizione del vincolo idrogeologico, la Suprema Corte (Cass., 17 giugno 1996, n. 5520, Mass., 1996) ha affermato che “ i vincoli per scopi idrogeologici, ai quali possono essere sottoposti i terreni che possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità, o turbare il regime delle acque (art. 1 R.D.l. n. 3267 del 1923), costituiscono vere e proprie limitazioni della proprietà nell’interesse pubblico, in quanto le relative a norme attribuiscono agli organi della P.A. competenti in materia di agricoltura e foreste poteri discrezionali incidenti sul libero esercizio del diritto di proprietà, limitandolo in vario modo. Ne deriva che il diritto del privato, sottoposto all’indicato potere discrezionale, sia nel momento dell’imposizione del vincolo che in quello successivo della gestione del bene, degrada ad interesse legittimo”. 4 CERUTI, Note in tema di coordinamento tra interessi ambientali e produttivi, Riv. Giur. Ambiente, 1998, 947. Con riferimento all’attività di coltivazione di miniera il citato Autore segnala la pronuncia del Consiglio di Stato in data 29 novembre 1988, n. 1288 (Riv. Amm., 1989, 293). Di fondamentale importanza ai fini sopra indicati è inoltre una pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale, 15 luglio 1985, n. 201, Foro It., 1988, I, 64) che afferma che l’autorizzazione di cui alla citata legge 30 dicembre 1923 n. 1497 “occorre per qualsiasi trasformazione del suolo”.
  • 5. 5 Venendo in rilievo la tutela della stabilità del territorio e della sicurezza, anche a questo proposito il costante insegnamento giurisprudenziale è nel senso di riconoscere la priorità del bene oggetto del vincolo in parola, stabilendo che non può attuarsi attività estrattiva, se non previa autorizzazione ai fini del vincolo idrogeologico contenente la prescrizione dettata. Sulla priorità di tutela del vincolo idrogeologico l’orientamento della giurisprudenza amministrativa si è mantenuto costante nel tempo. L’Organo, nella specie la Regione5 , preposto alla tutela di tale aspetto territoriale dovrà accertare (e valutare) se dall’intervento estrattivo (asportazione del giacimento e quindi di parte del suolo) possa derivare danno a fini idrogeologici del sito. Fermo il principio di cui sopra, sul piano applicativo, venendo solo in rilievo l’aspetto tecnico (accertamento che il progetto di coltivazione delle miniere non comprometta la stabilità del suolo) non sono sorti gravi e frequenti problemi, essendosi trovata soluzione naturale nella modifica progettuale dell’intervento estrattivo. 2.2. Vincolo paesaggistico e attività mineraria. Questo vincolo, nato in sordina con la legge 29 giugno 1939 n. 1497, si è trasformato in estensione e vincolatività dapprima con la legge 8 agosto 1985 n. 431 e quindi con le successive modifiche confluite oggi nel D. Lgs. n. 342/2004. 2.2.1. Un primo tema: l’estensione territoriale di tale vincolo. Mentre prima del 1984 il vincolo era apposto tramite D.M. della Pubblica Istruzione su ben individuati immobili da tutelare, a partire dalla citata legge del 1984 il vincolo è ex lege disposto per categorie di beni: corsi d’acqua, mari, laghi, boschi, zone umide, parchi naturali, ecc…., altitudine dei luoghi. Attraverso questa operazione gran parte del territorio nazionale è soggetto a tale vincolo. Solo per dare una indicazione di massima della rilevanza di tale vincolo sulla attività estrattiva si segnala come circa il 60% dei siti estrattivi (concernenti minerali industriali) ricadano sotto questo vincolo. 5 Oggi la competenza al rilascio dell’autorizzazione in oggetto è la Regione o l’ente delegato da quest’ultima, in virtù del trasferimento di competenze operato dall’articolo 69 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
  • 6. 6 2.2.2. Rapporto tra vincolo paesaggistico e attività mineraria. Il punto di partenza è incentrato nel principio fondamentale che fissa la priorità della tutela paesaggistica sugli interessi economici anche se di pubblico interesse (quale è l’attività mineraria): le citazioni bibliografiche sono superflue. Per un inquadramento generale si richiama la sentenza del Consiglio di Stato6 . Tale principio, tuttavia, ha una attenuazione applicativa nel senso che la norma impone che l’Amministrazione (Regione), deputata alla tutela del vincolo, confronti l’interesse sotteso al vincolo con quello produttivo di pubblico interesse (nella specie, minerario) e ricerchi innanzitutto i contemperamenti e la coesistenza attraverso prescrizioni atte ad eliminare o attutire i riflessi negativi che possono derivare dalla attività estrattiva. Il punto dolente specifico a riguardo della comparazione di due interessi pubblici risiede proprio nella valutazione che l’Amministrazione è chiamata ad effettuare. A rendere ancora più complicata l’operazione è la concatenazione del meccanismo disposto dalla legge tra ruolo regionale e Soprintendenza a riguardo dell’attività estrattiva che abbia ad oggetto area soggetta a vincolo paesistico. In questo caso, infatti, è previsto il “parere vincolante” della Soprintendenza rispetto all’autorizzazione regionale, così che in presenza di “parere negativo” la Regione è tenuta a denegare l’autorizzazione paesaggistica. E’ già distorsivo di per sé che sia demandato ad un organo consultivo (nella specie, Soprintendenza) il “si” o il “no”, ma è oltre tutto improprio che la valutazione sia demandata ad Organo con ottica e preparazione professionale solo estetica, laddove la comparazione riguardi in parallelo la valutazione di un intervento di pubblico interesse produttivo sul territorio7 . 6 Consiglio di Stato 29 gennaio 2013 n. 534. 7 Si fa seguire una breve excursus di dottrina e giurisprudenza sul punto che dà indicazioni, ma non è in grado di offrire soluzioni in concreto: “Non si può prescindere dal fatto che anche i beni protetti spesso hanno una forte potenzialità di sviluppo economico e dunque una valenza dinamica per la qual cosa necessariamente si dovrà comparare l’interesse pubblico alla loro tutela con quello economico al loro sfruttamento” (così VACCARELLA, La disciplina delle attività estrattive nell’amministrazione del territorio, GIAPPICHELLI Ed., Torino, 2010, pag. 104). Nello stesso senso si è espressa la più recente giurisprudenza amministrativa che ha ripetutamente avuto modo di affermare come pur essendo il “paesaggio” valore di primaria rilevanza, il concetto stesso di paesaggio debba comunque essere inteso in senso “dinamico” e non statico e per altro verso come occorra effettuare una comparazione tra i vari interessi tutelati. In tal senso si richiama TAR Sicilia - Catania, I, 22 maggio 2002, n. 900, che ha avuto modo di osservare come il potere autorizzatorio, il cui esercizio costituisce l’atto di gestione del vincolo, va esercitato alla stregua della norma attributiva
  • 7. 7 Facendo forza sul “passaggio” giuridico esposto nella nota 7 si potrà agevolare la soluzione di armonizzazione di due interessi contrapposti. 2.3. Attività mineraria e Parco. 2.3.1 Le attività di miniera subiscono tutta una serie di limitazioni, laddove ricadano in parchi naturali. a) Innanzi tutto quella che discende direttamente dalla legge: dall’art. 11 della Legge 6 dicembre 1991 n. 394 che stabilisce, in via di principio, il divieto di aprire ed esercitare miniera e cava; per i parchi regionali analoghi divieti sono previsti nelle leggi regionali in materia; b) una specifica disciplina, anche derogatoria rispetto al principio sopra ricordato, è contenuta nei regolamenti del parco (artt. 11 comma 4 e 23 comma 1 della legge n. 394 del 1991)8 . c) infine il piano del parco, nell’individuare le zone in cui è possibile svolgere l’attività estrattiva, può inserire nelle “aree di promozione economica e sociale” le aree già destinate ad attività estrattiva, per consentirne la promozione con un recupero (e/o riutilizzo) finale del sito9 . non soltanto avuto riguardo ad un accertamento di compatibilità coi valori paesaggistici, ma anche con riferimento al principio di proporzionalità. nello stesso senso si è espresso TAR Campania - Napoli, IV, 7 luglio 2003, n. 5195, secondo cui è necessario attuare un contemperamento tra valore di tutela e comprensione dell’interesse antagonista, da effettuarsi in relazione alla specifica attività considerata e non dando per scontata una incondizionata prevalenza del bene tutelato. Inoltre si richiama TAR Sicilia - Palermo, II, 4 febbraio 2005, n. 150, che ha avuto modo di affermare che nel possibile conflitto tra esigenze correlate all’esercizio dell’attività imprenditoriale e quelle sottese alla tutela di valori non economici (come la tutela del paesaggio), l’amministrazione ha il compito di ricercare “non già il totale sacrificio delle une e la preservazione delle altre secondo una logica meramente inibitoria, ma deve ricercare una soluzione necessariamente comparativa della dialettica tra le esigenze dell’impresa e quelle afferenti a valori non economici, tutte rilevanti in sede di esercizio di potere amministrativo di autorizzazione alla realizzazione di attività imprenditoriali”. Ed ancora TAR Sicilia - Palermo, II, 4 maggio 2007, n. 1252. 8 Si riportano al riguardo le puntuali precisazioni del Verino (Miniere, cave e parchi naturali, in Atti del 2° Convegno di diritto minerario, Roma 2002, 174): “le norme regolamentari possono però disporre deroghe per le attività già in corso, contemperando la conservazione delle attività imprenditoriali in atto con le esigenze di tutela dell’ambiente del nuovo parco. Il regolamento può inoltre disciplinare il recupero delle cave abbandonate e la sistemazione delle aree delle cave la cui attività cessi a seguito dell’istituzione del parco. Il regolamento può altresì consentire il proseguimento dell’attività ed anche, per le cave abbandonate, l’inizio di una nuova attività, seppure contenuta nei limiti necessari per conseguire il recupero e la sistemazione ambientale delle aree interessate dall’attività cessata. Il regolamento dovrà però, in tal caso, individuare altresì le modalità di svolgimento di dette attività nonché gli oneri e le garanzie a carico dei soggetti autorizzati a svolgerle. Lo stesso regolamento potrebbe ancora disciplinare lo sfruttamento dei materiali estratti nel corso delle attività di recupero nonché l’utilizzazione delle aree delle cave non più in esercizio, dopo la loro sistemazione, per fini compatibili con la tutela ambientale (campi sportivi, laghi per la pesca sportiva, parchi attrezzati, ecc…)”. 9 VERINO, op. cit., 175.
  • 8. 8 A conclusione di questo tratteggio di panorama sul rapporto in oggetto si segnalano due recenti sentenze del Consiglio di Stato10 che hanno in concreto ribadito come la normativa sui parchi non ponga divieti di carattere assoluto: donde in assenza di specifiche misure di natura regolamentare, l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione è tenuta a verificare la compatibilità dell’attività estrattiva con gli interessi tutelati, adottando possibili soluzioni oltre a contemperare gli interessi opposti. E proprio con riferimento a tale ultimo profilo si sottolinea che l’art. 13 della legge sui parchi ha subordinato il rilascio delle concessioni ed autorizzazioni relative ad interventi all’interno del parco al nulla osta dell’Ente parco. Ed ancora di recente la giurisprudenza ha consentito l’ammissibilità dell’attività mineraria nei Parchi, sottolineando come “le aree soggette al regime ordinario dei parchi, seppure organizzate con preminente riguardo alle esigenze di protezione dell’ambiente e della natura, non sono sottratte alle esigenze di sviluppo alle attività atte a fornire la crescita economica11 . 2.4. Attività mineraria e PRGC. Il tema di questo rapporto è tormentato. Occorre premettere che l’ambito della pianificazione urbanistica abbraccia ogni categoria di beni immobili, anche se appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato quali ad esempio le miniere12 . Nello specchio di una rivisitazione globale del tema, esteso anche alle miniere, pare interessante, per una migliore comprensione, offrire la visualizzazione dello sviluppo negli ultimi anni di questa importante tematica. Per le miniere in origine si era delineato l’indirizzo secondo cui i lavori di ricerca e di coltivazione mineraria non trovavano limite nella diversa destinazione urbanistica della zona13. 10 Cons. Stato, 14 maggio 1999, Riv. Giur. Ambiente, 2000, 748; Cons. Stato, 8 ottobre 2001, ined.. 11 TAR Lombardia, 7 marzo 2001, n. 2671; TAR Campania, 15 aprile 1999, n. 1044; Cons. Stato, 8 ottobre 2001, richiamata in PAIRE, Le attività estrattive, Milano, GIUFFRE’, 2014, 17. 12 Per completezza di disamina si fa rilevare come il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 abbia trasferito alle Regioni la competenza esclusiva in materia urbanistica. Restano allo Stato unicamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento dell’assetto e della tutela del territorio (CARINGELLA, DELPINO, DEL GIUDICE, op. cit., Napoli 1999, 646). Più specificatamente sono di competenza regionale i Piani Territoriali di coordinamento e di tutela ambientale; di competenza provinciale i Piani Provinciali territoriali di coordinamento; e di competenza comunale i Piani intercomunali e i Piani Regolatori Generali.
  • 9. 9 Successivamente e a seguito in particolare del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, si formò un diverso orientamento secondo cui l’autorità statale nell’emanare provvedimenti concessivi in materia mineraria non può incidere su vincoli di destinazione urbanistica senza una preventiva intesa con l’autorità regionale e locale, intesa che deve essere raggiunta seguendo la procedura dell’articolo 81 del citato provvedimento normativo. Sul tema si può segnalare la decisione del Consiglio di Stato in data 5 ottobre 1984, n. 57114 la quale ha stabilito che l’autorità statale, nell’emanare provvedimenti concessivi in materia mineraria, non può incidere su vincoli paesaggistici e di destinazione urbanistica senza una preventiva intesa con l’autorità regionale e locale, intesa che deve essere raggiunta seguendo la procedura prevista dall’articolo 81 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616. Alla luce di tale indirizzo l’attività mineraria ha sofferto e soffre difficoltà di estrinsecazione a fronte di destinazioni urbanistiche confliggenti e di soluzione non agevole. 3. Indicazione di percorsi utili ad armonizzare l’attuazione dei due interessi nella convivenza. I due “quadri” sopra descritti rappresentano per un verso la dualità insita nel rapporto attività estrattiva e protezione dell’ambiente e del territorio e per altro verso come storicamente si sia originata e sviluppata: ora restano da esaminare sotto un profilo propositivo le vie che si possono aprire per cercare di superare i nodi di incomprensione pregiudiziale reciproca e quelli di carattere giuridico e di armonizzazione progettuale (che combini i due aspetti), così da trasformare i “nodi” in “snodi”. 3.1. Un primo punto da mettere a fuoco è di natura concettuale, volto a superare il dualismo (contrapposizione) attraverso una revisione prospettica nel cercare di combinare i due valori. 13 Cass., 2 dicembre 1977, n. 5246 (Giust. Civ., 1987, 461) che ha fissato la seguente massima: “Il riconoscimento da parte dello Stato per mezzo dei propri competenti organi amministrativi e tecnici, delle condizioni di idoneità del proprietario del fondo, scopritore della miniera, per l’esercizio del relativo sfruttamento ed il rilascio della concessione stessa , costituendo esercizio del diritto di proprietà dello Stato sulla miniera con l’attribuzione al detto privato concessionario del diritto di utilizzazione della medesima, mutano la destinazione del fondo oggetto della concessione, dovendo esso essere destinato al detto uso e sfruttamento; la concessione comporta pertanto il sorgere di un’impresa, che deve svolgersi con il carattere di industria privata sulla miniera, alla quale resta subordinata la coltivazione agricola del fondo; anche i possessori di questo non possono quindi opporsi alle opere inerenti alla concessione e considerate dall’art. 32 R.D. 29 luglio 1927 n. 1443 di pubblica utilità; contro l’atto amministrativo di concessione non vale perciò né l’eventuale vincolo derivante dal carattere rurale della zona, riconosciuto dal piano regolatore comunale né la proroga del contratto di affitto a scopo agricolo, che viene pertanto a cessare”. 14 Giust. Civ., 1985, I, 935.
  • 10. 10 Sotto il profilo minerario sottolineare la particolare valenza di alcuni minerali strategici ed il loro recupero secondo il modello dello sviluppo sostenibile. Sotto il profilo della tutela dei valori territoriale ed ambientali, eliminando prese di posizione a priori e ricercando un’armonizzazione attraverso anche prescrizioni aggiuntive, compensative e di riutilizzo dei siti estrattivi. 3.2. In questo percorso esiste già in atto l’iniziativa Europea. L’avvio è stato dato con la Comunicazione 4 dicembre 2008 che ha sottolineato: a) da un lato avere l’UE sottolineato la rilevanza strategica per l’interesse economico comunitario di metalli ad alta tecnologie (cobalto, platino, terre rare e titanio), che svolgono “un ruolo prevalente nello sviluppo delle tecnologie ambientali innovative destinate a rafforzare l’efficacia energetica e a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra”. b) il principio di priorità nella politica regolamentare per agevolare l’accesso alle materie prime. Con la comunicazione 2 febbraio 2011 la Comunità ha inserito questo processo nelle strategie Europee 2020 per una cernita intelligente, sostenibile e innocua, tesa ad incoraggiare l’industria estrattiva. 3.2.1. Sempre su questo versante ed in coerenza con l’indirizzo della Comunità il nostro Ministero dello Sviluppo Economico sta elaborando un documento di indirizzo, da rivolgere anche alle Regioni ed agli Enti locali, affinché recepiscono nelle loro pianificazioni territoriali di tali risorse, cercando di armonizzare la realizzazione di due aspetti. 3.3. Proprio in questa direzione si pone una recente sentenza del TAR Lazio15 , la quale, a fronte dell’impugnazione di un parere negativo (vincolante) della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali, in presenza di una valutazione VIA positiva regionale (condannata a risolversi negativamente a causa del parere negativo della Soprintendenza) ha “suggerito” alla Regione di farsi parte attiva con la Soprintendenza per chiedere una rivisitazione ed una ripensamento del parere (negativo) alla luce dei rilievi espressi in sede di VIA, confidando in una revisione del parere da negativo a positivo. 15 TAR Lazio, Sez. II Quater, REG. RIC. 04317/2011, depositata 26 febbraio 2014, (inedita).
  • 11. 11 È importante questo “passaggio”, perché rompe il meccanismo perverso del “miet” per sospingere i due Enti a collaborare per la ricerca di un “si” meditato e attraverso previsioni e prescrizioni utili a minimizzare l’impatto sul territori. 3.4. Da ultimo, si impone di ripensare la materia anche sotto un profilo di progettazione a riguardo del riutilizzo finale del sito estrattivo al termine della coltivazione. Dove non sia possibile un recupero ambientale che ricostituisce la morfologia e sistemazione vegetazione precedenti, occorrerà, coniugando studi architettonici e previsione di fruizione economica alternativa di carattere socio-economico, culturale e turistica, prevedere un riutilizzo che possa inserirsi nel contesto territoriale della zona, modificando le sue connotazioni originarie, ma offrendo un risvolto o un riutilizzo che si collochi positivamente nel territorio e con gli interessi socio-economici connessi. È uno stimolo propositivo per operatori, tecnici ed Amministrazione pubblica.