LA MORTE DI UN VECCHIO, IN AGONIA E SOFFERENTE, VALE INFINITAMENTE PIU DELL’INTERO DISASTRO AMBIENTALE
L’EVACUAZIONE ERA OBBLIGATORIA, INDISCUTIBILE, INDEROGABILE.
Cacciare, a calci in culo, gli ambientalisti da qualsivoglia tipo di dibattito, finché non matura questa consapevolezza sui valori.
Il dibattito sull’ambiente, più che legittimo, è servito finora ad evitare una seria riflessione sul reato di strage, cioè sull’omessa evacuazione.
Proprio perché è cambiata questa consapevolezza, oggi nessun sindaco si prenderebbe una simile responsabilità di omissione, al minimo dubbio, oggi si fanno coprire le spalle dai superiori in linea gerarchica.
Nella certezza del giorno ed anche delle ore in cui, sarebbe caduta la frana, chi avrà rassicurato il sindaco di Longarone?
La filiera delle responsabilità verticali è stata indagata superficialmente solo ai livelli infimi, compito degli storici andare fino in fondo, sono certo che è ancora possibile.
Per quanto ricordo di quegli anni, io sono fermamente convinto che tale ricerca condurrebbe direttamente ad Amintore Fanfani in persona.
IL PSEUDO DIBATTITO SCIENTIFICO
Non occorre essere degli scienziati per liquidare nel disprezzo e nell’abominio le torbidissime figure di “esperti”, che si sono esibiti sul palcoscenico, millantando un sapere minato, ab origine, dalla mancanza assoluta dei dati adeguati a rappresentare il fenomeno, con un minimo di rigore scientifico.
Non pretesero la stratigrafia della frana, unica indagine in grado di dare un riscontro oggettivo alle loro vacue elocubrazioni.
L’esperimento di Nove poi, è osceno per la sua incompletezza e scandalosa discordanza dal “modello reale”.
Così rozzo, carente, impreciso, da far arrossire di vergogna, per il metodo usato, qualsiasi scienziato degno di questo nome.
1. VAJONT: PERDONARE CHI?
Distanza: 300 m
Dislivello: 40 m
Distanza: 500 m
Dislivello: 60 m
La popolazione poteva mettersi in salvo anche a piedi, salvo qualche vecchietto forse.
Come si usa fare precauzionalmente, quando c’è da disinnescare un ordigno esplosivo, in zona abitata.
Ricordo bene il campanile ed il nucleo abitato circostante, risparmiato dall’onda.
La quale, mi pare, risalì maggiormente in corrispondenza delle rampe che portano in val di Zoldo
-La caduta della frana era attesa con una precisione di ore
-Per il livello del rischio, ormai c’è piena evidenza che gli scienziati non erano sicuri proprio di nulla
In buona o cattiva fede, i produttori del pattume scientifico, che ci disorienta da mezzo secolo, hanno
distolto l’opinione pubblica da una vera riflessione sulle responsabilità per l’omessa evacuazione.
-Il Vajont non era un problema all’attenzione della SADE, ma, direttamente, dello stesso governo italiano
2. IL RESPONSABILE E PADRONE DEL VAJONT, ERA LO STATO
Il processo Vajont è un buon esempio didattico di quanto possono i “poteri forti”.
La difesa, focalizzando la discussione sulla frana, cioè sul disastro ambientale, ha eluso la ricerca
della verità sul reato maggiore, quello di strage, per la mancata evacuazione.
Nell’analisi delle responsabilità individuali, la catena di comando poteva arrivare ai vertici dello
stato, il tribunale si fermò a qualche dirigente locale della SADE.
Cini si concesse, con una breve audizione, ad un tribunale “genuflesso”.
Nel 63, la DC eccelle nel gioco delle tre carte, con due partite in parallelo.
La prima, a livello di consigli di amministrazione, vede la proprietà del Vajont passare
repentinamente da SADE ad ENEL ed infine a MONTEDISON, subito dopo il disastro.
Dopo 53 anni, molti rimangono inebetiti sulla prima carta mostrata, quella della SADE.
Nello stesso anno, come primo ministro, si avvicendano: Fanfani, Leone, Moro.
In ottobre è Leone il massimo responsabile politico della mancata azione protettiva e,
contemporaneamente, effettivo, vero, proprietario del Vajont.
Quindi tocca a lui salire a Longarone, per piangere e promettere giustizia.
Poi lo ritroviamo avvocato dello STATO=SADE=ENEL=MONTEDISON, scova il codicillo sulla
“commorienza” e riesce nell’intento di taglieggiare i rimborsi ai parenti delle vittime.
Fanfani, padre&padrone dell’Enel, artefice della nazionalizzazione dell’energia elettrica, il
6/10/1963, da qualche giorno, non è più presidente del consiglio.
Il Vajont, la diga più alta del mondo, è il vanto della nazione e di tutta la sua vita politica.
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3. TUTTO IL DISASTRO AMBIENTALE NON VALE UNA VITA UMANA
Il baccano sul tema scientifico serve a frastornare la gente: è una questione inaccessibile per
molti, basata su dati vergognosamente incerti, inconsistenti.
La natura maligna è la colpevole, è stata una fatalità
Questo depistaggio è la strategia vincente della difesa, sfornata, bella pronta, il giorno dopo la
strage, dai tre guru dei media: Buzzati, Bocca, Montanelli.
La ricerca della verità, mai iniziata sul serio, riguarda il reato di strage, non la sua causa remota,
indiretta, la caduta della frana, attesa con una precisione di ore.
Questo fatto ce lo conferma il dirigente SADE, Rivis, i suoi colleghi sono saliti alla diga per
assistere allo spettacolo, poi c’è la testimonianza del notaio Chiarelli p.e.
Chi decise di non evacuare la popolazione e perché?
Il geologo deontologicamente più corretto fu Dal Piaz, che individuò gli indizi della paleofrana ed
enfatizzò il rischio. Vecchio, sollecitò che altri indagassero meglio.
Semenza poteva e doveva pretendere la ricognizione tridimensionale del movimento franoso,
iniziata troppo tardi, che avrebbe migliorato enormemente i dati disponibili.
A pag. 8 potete vedere il modello idraulico, con il quale Ghetti fece gli esperimenti che
produssero le “certezze” in base alle quali si decise di non evacuare preventivamente.
Lo studio, fu deciso molto prima, per valutare se e come proseguire l’investimento.
Non era certo finalizzato alla decisione di evacuare o meno.
4. LA MAFIA DEMOCRISTIANA ANCHE A LONGARONE
VOLPI FONDATORE DELLA SADE
Nel Veneto la classe dirigente fascista si ricicla indenne, transitando dal fascismo alla DC.
Volpi, ministro fascista, governatore della Mauritania, presidente degli industriali ecc. finanzia il movimento
partigiano nel 43, mentre nella sua villa di Maser ospita il generale Graziani.
Fondatore di SADE, ideatore e costruttore di Porto Marghera.
CINI PRESIDENTE SADE ANCHE AL TEMPO DELLA CATASTROFE
Fascista pure lui, conte di Monselice, ministro delle comunicazioni, lo ritroviamo anche alla guida dell’ILVA,
incaricato della sua ristrutturazione, “a causa delle ingenti perdite economiche”….
Accanto a Volpi nell’ideazione e costruzione di Porto Marghera e nella fondazione della SADE, della quale è
presidente dal 53 al 64, quindi anche ai tempi della catastrofe.
Riesce a far approvare il progetto del Vajont a fine guerra, con gli alleati alle porte; il suo potere e la sua
opera non subiscono la minima interruzione nel dopoguerra.
Lui ed il suo staff conservano grande autonomia operativa anche dopo il passaggio ad Enel.
IL NESSO CON FELICE MANIERO
La “mala del Brenta” è detta anche “quinta Mafia”; solo con le leggi speciali, previste per la struttura
mafiosa, fu possibile penetrare l’ermetica barriera di intermediari che proteggeva il capo.
Volpi era già morto, il tribunale dell’Aquila interrogò molto “ossequiosamente” il conte Cini.
I politici, la magistratura, i media, hanno tenuto i riflettori sempre puntati su personaggi di infimo rango,
soprattutto per quanto riguarda il reato di strage, la mancata evacuazione.
Come si può immaginare che, burocrati come Biadene, potessero assumere, sulle proprie spalle, una
responsabilità gigantesca come quella del reato di strage?
5. L’OPINIONE PUBBLICA : I MEDIA
“Il re è nudo”! Tina mi ricorda il bambino della favola, il quale, con la sua esclamazione, svergogna i grandi,
conformisti ed opportunisti.
LA STAMPA: CHE BRUTTA ARIA ALLORA! E OGGI?
Che vergogna! Illustri giornalisti, Buzzati, Montanelli, perfino Bocca, unanimi nell’assolvere i vertici stessi
dello stato, padrone del Vajont, la natura matrigna unica colpevole.
Nessun accenno ad altre macroscopiche responsabilità, penso alla mancata evacuazione.
Dall’altra Tina Merlin: nessun riconoscimento rilevante, anzi l’ostracismo, l’”esilio” in Polonia.
Il suo libro, boicottato dall’editoria italiana, poté essere pubblicato solo nel 1983.
Più o meno ipocritamente, avversata ed indigesta alla comunità anche oggi.
Nella storia, il popolo, tragicamente cieco, non ascolta il suo profeta, anzi lo rifiuta,
Pensate che fine ha fatto un certo Gesù Cristo!
Un cuore puro, capace di guardare in faccia la verità, quella
che i vili opportunisti fingono di non vedere.
Una carattere indomito, da montanara, se una cosa va fatta,
si insiste, testardamente, fino in fondo.
Nella sua sfida a SADE, trovò un consenso consistente
soprattutto ad Erto e nella vicenda degli espropri, questioni
di soldi insomma.
Mi pare che le sue verità scomode, urlate con tanta
insistenza, fossero sopportate con fastidio dalla maggioranza
silenziosa.
TINA MERLIN, PARTIGIANA
BIOGAS
MASACCIOSTORIA LOCALE
PIROGAS
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6. L’OMESSA EVACUAZIONE DI LONGARONE
Se anche Longarone avesse ascoltato una sua profetessa, come quelli di Erto!
Lì sopra, la Merlin ha trascinato il parroco, le autorità comunali e la popolazione intera a
pretendere i mezzi per uno sfollamento organizzato.
Perché Longarone non l’ha ascoltata e la censura tuttora?
La mia impressione è che non sia mai stata in sintonia con la sua maggioranza silenziosa:
“comunista”, “esagerata”, “imprecisa”, forse disturbava l’idilliaco rapporto della comunità con
mamma SADE.
IL CODICE ETICO NEGLI ANNI DEL BOOM
I più giovani non possono immaginare facilmente quanto sono cambiati i valori in mezzo secolo,
certamente allora la salute, la stessa vita umana, valevano infinitamente meno!
Pensiamo all’inferno di Porto Marghera, pensato e realizzato proprio da Cini e Volpi, la coppia
che ha “fatto” anche il Vajont, ai vertici del potere con il fascismo, rimasti indenni al posto di
comando nel dopoguerra.
Con l’industrializzazione procuravano lavoro e benessere ad una massa di disperati, condannati
altrimenti all’esperienza terribile di un’emigrazione, infinitamente più dura di quella che
offriamo ai migranti dei barconi oggi.
Anche il potere veniva esercitato con una brutalità oggi inimmaginabile.
Sul caso Vajont, ricordo la vicenda di Desidera, capo del genio civile di Belluno.
Constatate le solite, reiterate, irregolarità, si limita ad applicare la legge e blocca i lavori.
L’indomani stesso, un telegramma del ministro Togni in persona, lo sposta ad altra sede.
7. LA DEONTOLOGIA DEI GEOLOGI
HOC UNUM SCIO, QUOD NESCIO: SI SAPEVA DI NON SAPERE
L’errore nella previsione è stato gigantesco, soprattutto per l’aspetto dinamico.
A priori, le stime scientifiche non erano abbastanza rassicuranti, al punto di omettere l’evacuazione.
Ne paiono consapevoli i dirigenti di Enel, che tentarono, in extremis, un’indagine tridimensionale mediante
carotaggio. Troppo tardi, il materiale franoso era già in rapido movimento e bloccò le trivelle.
La gente comune dovrebbe riflettere sulla questione etica, deontologica, ignorare la diatriba scientifica.
Si può criticare l’opera di un chirurgo più facilmente nel metodo che nel merito.
DAL PIAZ
Aveva apertamente denunciato la possibile presenza della paleofrana, sollecitando adeguate verifiche.
Da questo punto di vista, è l’unico intellettualmente rigoroso della categoria: i colleghi, che pontificano dopo il
disastro, non precisano che ora beneficiano di una perfetta conoscenza del modello reale.
L’uomo emerge malconcio dal tribunale dell’Aquila: nella sua relazione ufficiale Semenza verga una correzione
sostanziale e compromettente, che il professore avalla servilmente.
CARLO SEMENZA, GRANDE INGEGNERE, GEOLOGO DILETTANTE
Demonizzato per il suo eccessivo decisionismo, è stato molto “fortunato” a morire prima del disastro.
Non gli possiamo addebitare le mancate o errate azioni correttive, che potevano evitare o minimizzare il
disastro ambientale: bastava tenere l’invaso più basso di qualche decina di metri.
Tantomeno può essere coinvolto nel reato di strage, per la mancata evacuazione.
EDOARDO SEMENZA
Figlio di Carlo, questo sì geologo: conferma la paleofrana, enfatizzando i rischi che Dal Piaz poteva solo
ipotizzare vagamente.
Non pretende il necessario rigore scientifico, non impone subito il carotaggio, elocubra molto.
Come conseguenza, l’autoritario papà, ha buon gioco nell’annichilirlo come esperto.
8. IL MARASMA SCIENTIFICO MULTIDISCIPLINARE
LA GEODINAMICA DI CALOI
Il partito del depistaggio, ancora molto attivo, ha intimidito opinione pubblica e giudici con
l’ardua questione scientifica, la natura matrigna imperscrutabile ed imprevedibile!
Oggi sappiamo che l’evento era previsto con precisione di ore. Perciò, la spaventosa incertezza
sull’entità del rischio, diventa un’aggravante per chi non protesse la popolazione.
Il documento al link qui sotto viene rilanciato dai professionisti del depistaggio.
Racconta la complessa vicenda delle indagini sismologiche sulla frana.
La propagazione delle onde sismiche, generate da un terremoto naturale o da un’esplosione,
offrono informazioni preziose sulla costituzione, compattezza, stabilità, proprietà meccaniche, di
strati profondi ed inaccessibili con altri strumenti di indagine.
LA SUA DEONTOLOGIA , UN BOOMERANG PER I COMMITTENTI
Il documento è apprezzabile per chiarezza e leggibilità.
Dimostra, senza reticenze, come si brancolasse sostanzialmente nel buio.
Secondo me, la scandalosa peculiarità dell’autore è la sua onestà intellettuale.
Mi piacerebbe capire meglio la vicenda di questa mosca bianca.
Più frequentemente, nel caso Vajont come in molti altri, lo scienziato si lascia stritolare dal
committente, nel ricatto delle reciproche coperture mafiose.
Caloi, 10 anni di indagini cliccare per il documento
9. GLI ESPERIMENTI IDRAULICI
LA PRECOSTITUZIONE DELL’ALIBI
DAL DISASTRO AMBIENTALE AL REATO DI STRAGE
Gli esperimenti di Nove servivano a prendere una decisione ottimale in termini business.
A quale altezza limitare l’invaso, tale da limitare il rischio che la frana rendesse inservibile il bacino,
penalizzando il meno possibile la sua redditività.
Non credo che Semenza, Ghetti&C. si ponessero, inizialmente il problema dell’evacuazione.
Sarebbe molto importante sapere come maturò la decisione di utilizzare lo stesso studio, anche come
alibi, per evitarla.
NON SERVE GIUDICARE LE EQUAZIONI DI GHETTI
La tesi al link confronta lo studio di Ghetti con i risultati elaborati oggi con la simulazione matematica,
utilizzando un modello sperimentale simile, ma ulteriormente, drasticamente, semplificato, cioè
costituito da una sola fetta della frana, virtualmente “bidimensionale“.
Conclude con una sufficienza per le formule ed i calcoli effettuati allora.
Insomma, davanti al tribunale della storia, è irrilevante inquisire la scienza idraulica.
LE “SMISURATE” OMISSIONI ED INCERTEZZE DEL MODELLO
I dati erano incerti per: forma 3D, volume, peso, stratigrafia, velocità, dinamica di caduta.
Si scelse la caduta per rotolamento e la ghiaia come materiale, sapendo che non era verosimile: la
massa scivolò compatta e velocissima, su uno strato “lubrificato” dall’acqua.
Si ignorò l’orografia sopra l’altezza della diga, inficiando lo studio della dinamica dell’onda.
Anche disponendo di una matematica perfetta, uno scienziato avrebbe dovuto rabbrividire di
vergogna, dovendo esplicitare l’inaffidabilità statistica della sua elaborazione.
Clicca qui per la
TESI
10. IL PRESSAPOCHISMO DEL MODELLO
TESICLICCA QUI
←
CASSO
TOC
CASSO
La parete rocciosa
ignorata
DIGA
DIGA
Il Toc è un mucchio di ghiaia, non considerata la parete rocciosa contro cui rimbalzò l’onda!
Può avere dignità scientifica una stima basata su un modello simile? Tutto è relativo.
Dipende anche da come lo scienziato tiene conto del margine di errore prevedibile.
Un’elaborazione scientifica sperimentale prevede tassativamente, accanto al valore medio elaborato,
l’intervallo di confidenza, all’interno del quale il valore reale può oscillare, con una determinata
probabilità (p.e. 6 = 1volta ogni 2941).
Un conto è decidere del business, un altro di migliaia di vite umane
TOC
Ghiaia
che scorre
IL MODELLO
11. GLI ESPERIMENTI IDRAULICI (CON IL SENNO DEL POI)
TUTTI BRAVI A PONTIFICARE, DOPO LA DISGRAZIA
Il documento al link è apprezzabile anche sul piano divulgativo, specialmente quando fa un
bilancio chiaro degli scostamenti tra le previsioni elaborate e l’evoluzione reale del fenomeno.
Oggi appare presuntuoso ed inutile indagare, in questa sede, la scienza idraulica di Ghetti.
Per giustificare il suo errore, bastano ed avanzano le vergognose approssimazioni del modello,
giustificate anche da una conoscenza incertissima della frana.
Forse non è stato indagato abbastanza l’aspetto probabilistico della sua stima, quello che poteva
approfondire almeno la buona fede dell’uomo.
IL COMPLICATISSIMO TRAGITTO DELL’ONDA, UN GIGANTESCO PROIETTILE
Il documento illustra anche la spaventosa complessità di una previsione scientifica in materia.
La quale dovrebbe atterrire qualsiasi scienziato serio, anche oggi, che disponiamo di modelli
geometrici e matematici raffinatissimi e di smisurata capacità di calcolo.
Al modello sperimentale di Ghetti mancava perfino la parete rocciosa di Casso, naturalmente
anche la gola e poi l’alveo del Piave, fino all’abitato di Longarone!
Ha osato affrontare questa immensità di fenomeni con le sue quattro, miserabili, equazioni!
Secondo me, la ricerca delle responsabilità morali degli scienziati, andrebbe prioritariamente
concentrata sull’ultima parte del percorso dell’onda.
Bisognava calcolare una distanza di sicurezza dal Piave, per lo scenario più catastrofico
Era una stima molto “facile”, in tutti i sensi, bastavano alcune centinaia di metri, o poco più
Onda di piena cliccare per il documento
12. Non sono un esperto di geologia o idraulico e non mi rivolgo a degli specialisti.
Non trovo prioritario il tema, che riguarda il disastro ambientale gravissimo, ma non voglio
distogliermi troppo dalla riflessione sui morti.
In linea di principio mi pare molto ragionevole che SADE abbia fatto le sue prove; c’è anche la
relazione di Muller che spiega tutte le varie alternative.
Pilotata o meno, quello che conta è che la frana è scesa puntualissima, all’ora prevista.
COME PILOTARE LA CADUTA SECONDO MÜLLER
Il geotecnico viene incaricato proprio di analizzare il problema di minimizzarne l’impatto e prende in
considerazione diverse alternative.
Abbassare/alzare il livello dell’invaso era una tra le più praticate ed è oggetto di valutazioni
approfondite e favorevoli.
Questi cicli sicuramente acceleravano/anticipavano la caduta, ma l’obiettivo vero era evidentemente
quello di limitare il più possibile la parte in movimento stabilizzando il resto.
A favore dell’ipotesi della frana “pilotata” credo vada attribuita la lunga e dettagliata documentazione
degli effetti delle molte operazioni di svuotamento/riempimento.
IL DILIGENTISSIMO BIADENE
Al momento esattamente previsto, la frana è caduta, l’altezza dell’invaso corrisponde con precisione
impressionante agli obiettivi indicati.
Altezza dell’invaso = 700,42 metri (un errore di 42 cm!)
LA FRANA “PILOTATA”
13. LO SVUOTAMENTO RAPIDO
Sia lode ai progettisti della diga, un formidabile apparato era previsto, per svuotare in
emergenza, addirittura in una sola giornata, l’intero bacino.
Cioè abbassare, in poche ore, il livello dell’acqua, sotto un limite di sicurezza assoluta.
Certo il movimento franoso si sarebbe molto
accelerato.
Chi affronterebbe oggi una simile emergenza, senza
prima allontanare la gente?
Quale fu la posta sulla quale SADE giocò migliaia di
vite umane?
Il crollo del valore delle azioni?
Sento dire che non ci sarebbero state ripercussioni
sul contratto di vendita.
Ma il semplice allarme avrebbe provocato
comunque uno tsunami finanziario generale.
Sicuramente quell’enorme massa d’acqua aveva un
grandissimo valore economico intrinseco, sprecato
se svuotata sul Piave.
Sia che venisse sfruttata per produrre energia a
Soverzene, sia per l’irrigazione.
IL FORMIDABILE SISTEMA
IDRAULICO PER LO SVUOTAMENTO