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L’ELIMINAZIONE DEI COMANDANTI LAICI
ADAMI, CHILESOTTI, MASET, MASACCIO
UNO STUDIO DEL CONTESTO
“ecce deus ramum Lethaeo rore madentem
uique soporatum Stygia super utraque quassat
tempora, cunctantique natantia lumina soluit.
Vix primos inopina quies laxaverat artus,
et super incumbens cum puppis parte revulsa
cumque gubernaclo liquidas proiecit in undas
praecipitem ac socios nequiquam saepe vocantem”
Morte di Palinuro (Eneide, libro V)
È notte fonda, Enea e compagni, stremati, dormono, solo il giovane
Palinuro veglia. Tiene saldamente il timone della nave e gioisce alla
visione della terra promessa, ma il dio, ingannevole e crudele, lo
addormenta, agitando un ramo intriso di sonnifero, divelle il timone,
insieme con la poppa alla quale si è legato e lo precipita nei flutti.
Sulla resistenza, si fonda il nostro patto di convivenza civile.
Conoscerne e capirne la storia è un obiettivo primario dell’educazione.
Non mi rivolgo agli addetti ai lavori, a quelli “che sanno già tutto loro”,
vorrei poter parlare ai ragazzi delle scuole superiori
Questo è un esperimento pedagogico, una specie di mappa propedeutica,
per una ricerca più efficace e selettiva della verità che conta,
in una palude infestata dalle cento trappole della faziosità.
A fronte di un obiettivo tanto ambizioso,
il risultato è sicuramente carente e non privo di errori.
Posso solo garantire onestà intellettuale e disponibilità al confronto.
Per capire qualcosa, sulla morte di Masaccio, ho scavato in un perimetro ampio,
confrontando il suo omicidio con quello di altri tre casi, che mi apparivano simili.
Le molte parti mancanti del puzzle, si individuano con più sicurezza.
Tutti sappiamo che non bisogna fidarsi completamente delle testimonianze
nelle quali, comunque, è facile separare l’enfasi autocelebrativa,
l’inganno più insidioso consiste nell’asportazione chirurgica di parti di verità.
Il percorso proposto è arduo, per un giovane o un autodidatta,
pertanto ritengo consigliabile l’intermediazione di un docente.
La statua di Palinuro, riprodotta nella prima pagina, venne commissionata ad Arturo Martini, per
onorare il partigiano Masaccio ed è collocata al pianterreno del palazzo del Bo, all’università di
Padova, nel "sancta sanctorum" della cultura veneta.
Perché un tributo così grande, un privilegio così speciale, riservato solo a lui?
Altri comandanti hanno meritato la gloria più di lui, per le imprese militari, altri, per la produzione
culturale, lui come educatore, capace di risvegliare ed elevare la coscienza civile, in una grande
massa di partigiani e seguaci.
Mi occupo di consulenza e divulgazione scientifica, non sono uno storico, né un esperto di
cronaca resistenziale, c’era un lavoro da fare, che nessuno ha fatto, ci ho dovuto provare io.
Le testimonianze vanno esaminate controluce, considerando l’interesse del narratore, non ho
trovato menzogne evidenti, un po’ di enfasi sui propri meriti e qualche dimenticanza sui
coprotagonisti più invisi.
L’operazione più delicata, è stata quella di definire i contorni della verità asportata.
Nella misura in cui, il perimetro del “non detto”, appare abbastanza nitido e preciso, è
possibile ricostruire bene il puzzle, con risultati, a mio giudizio, incoraggianti.
Poi ho provato ad applicare lo stesso schema, messo a punto per Masaccio, ad altri casi simili,
con i risultati che può constatare chi mi legge.
Questo libro è nato da un piccolo seme, la storia
del partigiano Masaccio, ascoltata in stalla, a filò,
sulle ginocchia di mio padre, suo coetaneo, amico
ed ammiratore.
Mia madre mi raccontava come, nella cameretta
dove dormivo, fossero transitati, diverse volte, dei
piloti americani, diretti verso il Grappa.
Mio padre riteneva, come molti in paese, che lo
stesso gruppo dirigente partigiano, fosse il
mandante del suo omicidio e rifiutò sempre la
tessera di partigiano, offerta a cani e porci.
La complicità del vertice appariva confermata proprio dal sistematico insabbiamento del
processo; Hannig, unico testimone accusatore, non viene protetto dalle angherie
dell’imputato e, poco tempo dopo, pure la sua morte sospetta, viene attribuita ad Andretta.
Molti amici di mio padre parlavano di ruberie, lui non negava, ma insisteva che c’era anche
ben altro sotto, che bisognava “essere studiai” per capirlo e me lo ripeté per tutta la vita.
Rita, nella foto, è l’unica sorella bilaterale di Primo,
mia zia, emigrata in Canada, qui in visita in Italia.
In quanto moglie di un mio zio paterno, il più vecchio
dei fratelli, casa mia era di sua proprietà.
Persona molto umile, semplice, affettuosa, solare.
Sempre, totalmente, ignorata dalla ‘’loggia P2
resistenziale’’, un fiume in piena se gli chiedevo del
fratello, ma guai, anche solo sfiorare il tasto dei
‘’partigiani’’, come desideravo molto.
INDICE
Par. INDICE Pagina
A INTRODUZIONE 6
1 INCOMPATIBILITÀ TRA IDEOLOGIA LAICA E CATTO-COMUNISMO 7
1.1 La ribellione dei renitenti alla leva della RSI 7
1.2 La crescita spontaneistica delle prime formazioni 7
1.3 La direzione politica si legge nel nome della formazione 7
2 IL REGOLAMENTO DI CONTI FINALE 8
2.1 Niente “habeas corpus” 8
2.2 La storia maestra di vita 8
2.3 Un processo solo indiziario, per i mandanti 9
2.4 Cui prodest? 9
3 LA SENTENZA POPOLARE 10
3.1 I traditori e la pista paesana degli arricchimenti ingiustificati 10
4 LA PROSPETTIVA POLITICA E STRATEGICA 11
5 Una prospettiva dall’alto, sopra le minuzie della cronaca 11
6 LA RIPETIBILITÀ MIGLIORA LA VALIDITÀ DI UN MODELLO INTERPRETATIVO 12
CAPITOLO 1 : IDEALI GENUINI ED AMBIGUI DELLA LIBERAZIONE 13
1 PROLOGO 13
1.1 Quali ideali esaltare sulla bandiera? 13
1.2 Una catechesi farlocca 13
1.3 La lotta di liberazione, da cosa? 14
1.4 Libertà democratica e tirannia 14
2 IL VENETO PRIMA DEL FASCISMO 15
2.1 La famiglia patriarcale 15
2.2 La chiesa 15
2.3 Il primo embrione di stato 15
2.4 Venezia si ricorda della terraferma 16
2.5 Con Napoleone, scopre lo stato nazionale moderno 16
2.6 Sotto l’Austria, una sindrome di Stoccolma. 16
3 IL VENETO E MUSSOLINI 17
3.1 Le peculiarità del mondo contadino veneto 17
3.2 La coscienza di patria, germinata sul Grappa 17
3.3 L’epopea degli alpini e la love story con Mussolini 18
3.4 Bassano del Grappa e la divisione Monte Rosa 18
3.5 La sintonia politica tra chiesa e fascismo 18
3.6 La viltà della chiesa 18
3.7 Il compito dei cappellani militari 19
4 GLI IDEALI RAPPRESENTATI NEL CLN 20
4.1 Cattolici 20
INDICE
Par. INDICE Pagina
4.2 Comunisti 21
4.2.1 Comunisti degli altipiani 21
4.3 Socialisti 21
4.3.1 Socialisti artigiani 22
4.4 Azionisti 23
4.4.1 Il progetto di società di Ugo La Malfa e di Primo Visentin 24
CAPITOLO 2 : PROFILI STANDARD 25
25
CAPITOLO 2.1 : APPARATO REPRESSIVO 25
1 BASSANO DEL GRAPPA, CITTÀ SIMBOLO E PREDILETTA DAL DUCE 25
1.1 Perrillo, il poliziotto che stana la preda 25
1.2 Carità, il poliziotto che la spreme 26
1.2.1 La rieducazione dell’alpino partigiano e cripto fascista, Filato 26
2 KAISER IL GIUDICE 27
2.1 Un raffinato ed intelligente gioco di squadra 27
3 MINISTERIALI, CITTADINI E CAMPAGNOLI, ELITE ECONOMICA 27
3.1 Fascisti in città, gli antifascisti in campagna 27
3.2 L’élite economica in transizione, il modello Volpi 28
CAPITOLO 2.2 : EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO 29
1 LA CHIAMATA ALLE ARMI DELLA RSI E LA RIBELLIONE DEL POPOLO DEL NORD 29
1.1 La monarchia deve riprendere il controllo politico del nord Italia 29
2 CLN 29
2.1 Una sovrastruttura burocratica, mal digerita dalla base partigiana+B59 30
2.2 Una loggia P2 monarchica, in dialogo con le alte sfere del clero e della finanza 30
2.3 La selezione dei comandanti partigiani 30
3 ALPINI EMISSARI DIRETTI DELLA MONARCHIA 31
3.1 Crestani 31
3.1.1 Comandante, assegnato dall’alto, durante il rastrellamento del Grappa 31
3.1.2 Un diverso inquadramento, tra Moro e Crestani? 32
3.1.3 Rimandato in scena dal cattolico Sabadin, appena s’insedia al vertice del CLN 32
3.1.4 A fianco di Masaccio, nel momento dell’omicidio 32
3.1.5 Si contraddice e cambia versione spudoratamente 33
4 MISSIONI DI SPIONAGGIO 33
4.1 Aviolanci 33
4.2 Il denaro 33
4.3 Complotti ed omicidi 34
4.4 Rocco, spia di MRS 34
INDICE
Par. INDICE Pagina
4.4.1 L'arte di irretire e poi deludere 34
4.4.2 Compito della spia anche organizzare un omicidio 35
4.4.3 Sandro Pasqualetto e l’”excusatio non petita” 35
4.4.4 I committenti di MRS avevano buone ragioni per eliminare Masaccio? 35
5 GALLI, EX SS, COMANDANTE MILITARE DI TUTTA LA RESISTENZA VENETA 36
5.1 Da SS di altissimo rango, a comandante dei partigiani veneti 36
5.2 Un comando centralizzato per la lotta al comunismo 37
5.2.1 La logistica dell’apparato di controllo “partigiano” 37
5.2.2 Dove sono finiti, i collaboratori più diretti di Galli? 38
2 3 CAPITOLO 2.3 : LA POLE POSITION 39
1 LA STRUTTURA DEL CLN, AI TEMPI DI MENEGHETTI 39
1.1 La sostituzione di Meneghetti 39
2 LA GESTIONE DEL CLN di SABADIN 40
2.1 Una mappa didattica 40
fig. 1 Lo schieramento alla pole position (figura) 41
3 LA RISTRUTTURAZIONE 42
3.1 L’impiego del denaro come mezzo di promozione politica 42
3.2 Una rapida e profonda ristrutturazione dell’apparato militare 43
3.3 La riunificazione delle formazioni di pianura in 2 grandi divisioni 43
3.4 Le divisioni comuniste di montagna 43
3.5 Le divisioni anticomuniste di pianura 43
3.6 Masaccio, il ribelle, inglobato nell’ameba 44
CAPITOLO 2.4 : ALPINI FASCISTI E PARTIGIANI 45
1 IL CONTESTO FASCISTA CON L’8 SETTEMBRE 45
1.1 Mussolini, il coniglio nascosto sul Gran Sasso, preso per le orecchie da Hitler 45
1.2 Nel vicentino la X MAS è in affannoso riposizionamento, contro il comunismo 45
1.3 Anche Carità&Perrillo sondano il terreno locale 45
1.4 Gli alpini fascisti di Bassano del Grappa 46
1.5 I fascisti della X MAS, ai funerali di Masaccio 46
2 COMANDANTI PARTIGIANI ALPINI MONARCHICI 47
2.1 L’alpino Moro diventa partigiano 47
2.1.1 Moro, il partigiano perfetto, secondo Perrillo 48
2.1.2 Il partigiano Moro congelato a Mottinello 48
2.1.3 L’ultima settimana si materializza a Ramon 48
3 FILATO 49
3.1 Il suo profilo autografo è nel suo stesso memoriale 49
3.2 Prigioniero della banda Carità, il lavaggio del cervello 49
INDICE
Par. INDICE Pagina
4 ALPINI EROI PARTIGIANI: CHILESOTTI E MASET 50
CAPITOLO 2.5: PARTIGIANI MONARCHICI E CATTOLICI 51
1 NELLE CAMPAGNE COMANDAVA IL CLERO 51
2 L’ESEMPIO DI CASTELFRANCO VENETO 52
2.1. Gino Sartor 52
2.1.2 Domenico Sartor 52
2.1.3 Anselmi 53
2.1.3.1 Segretaria di Galli, SS e comandante militare di tutta la resistenza veneta 53
3 FARINA E MENEGHIN, ATTORI E NARRATORI UNICI DELL’OMICIDIO DI CHILESOTTI 54
3.1 Farina 54
3.2 Meneghin 55
CAPITOLO 2.6: PARTIGIANI COMUNISTI 56
1 COMUNISTI DEGLI ALTIPIANI 56
1.1 I tutors emiliani 56
1.2 Le divisioni Garemi e Nannini 57
2 COMUNISTI DELLE AREE INDUSTRIALIZZATE DI PIANURA 57
2.1 Il disprezzo del sentimento popolare, con la difesa dei sospetti omicidi 58
2.2 Un compromesso storico ante litteram 58
CAPITOLO 2.7 : PRETI E PEACE KEEPERS 59
1 DON GIUSEPPE MENEGON, INTERLOCUTORE DEL GIUDICE KAISER 59
1.1 I partigiani liberati da Perrillo hanno il microchip incorporato 59
2 PADRE NICOLINI, INTERLOCUTORE DEL POLIZIOTTO PERRILLO 60
2.1 Nell’incendio di Spineda, il frate Nicolini subentra a don Giuseppe 61
CAPITOLO 3 : IL CONTESTO DEI DELITTI, NELLA PEDEMONTANA VENETA 62
1 BASSANO, BASSO VENTRE DELLA GUERRA 62
1.1 La love story tra la città ed il duce 63
2 IL RASTRELLAMENTO DEL GRAPPA 63
2.1 L’enfasi sulla rilevanza strategica del massiccio del Grappa 63
2.2 Un rifugio di fortuna per i renitenti alla leva, almeno sul versante sud 64
2.2.1 Mal diretti o traditi dai comandanti ed eroi isolati, a sud 64
2.3 I comunisti si comportarono con onore 64
3 BASSANO MEDAGLIA D’ORO 64
3.1 Vittime e carnefici, tutti nello stesso calderone, non va mica bene! 65
3.2 De Gasperi, uno spudorato bugiardo e mistificatore 65
3.3 Una medaglia d’oro anche per Sabadin? 66
INDICE
Par. INDICE Pagina
4 OMICIDI DEI COMANDANTI NON ALLINEATI CON IL CATTO-COMUNISMO 66
4.1 Porzus 66
4.2 Adami 67
4.3 Maset 68
4.4 Chilesotti con Carli e Andreetto 69
4.4.1 Chilesotti , comandante della divisione Ortigara 69
4.4.2 Carli, commissario politico a fianco di Chilesotti 69
4.4.3 Andreetto, “Sergio” 69
4.4.4 La trappola 70
4.5 Masaccio 70
CAPITOLO 4 : OMICIDIO DI CHILESOTTI, CARLI E ANDREETTO (SERGIO) 71
1 UN’EVACUAZIONE SENZA AGGRESSIONI AI FASCISTI 71
1.1 L’uscita di scena indisturbata, del personale dei ministeri e dell’apparato repressivo 71
1.2 La X MAS non fugge, ma si eclissa e ricicla in un territorio amico 71
1.3 La fuga della SS Carità 72
2 FARINA E NALIN, FANNO SCATTARE LA TRAPPOLA 73
2.1 Zaira Meneghin 73
2.2 Farina 73
2.3 Nalin, SS, comandante della sezione di Longa, della banda Carità 74
2.4 IL GRUPPO DI CHILESOTTI 74
2.4.1 Chilesotti 74
2.4.2 Carli 74
2.4.3 Andreetto (Sergio) 75
3 LA TRAPPOLA 75
3.1 La fuga delle SS, il lascia passare è la partigiana Meneghin 75
3.2 Farina, finita la sua missione, scompare 76
4 MORTO CHILESOTTI, FILATO È GIÀ IN SCENA 76
CAPITOLO 5 : OMICIDIO DI MASACCIO 77
1 Uomo di cultura e comunicatore 77
1.1 Il percorso culturale, da “patriota” a “ribelle” 77
2 IL CONTESTODEL DELITTO 78
2.1 Il trasformismo dell’élite: il modello Volpi 78
2.2 Come sono riposizionati gli attori principali, negli ultimi giorni? 78
2.2.1 Dove sta Moro Ermenegildo? 78
2.2.2 Cocco, sale e ridiscende subito, dal Grappa 79
2.2.3 Cocco chiede, invano, di isolare il futuro omicida 79
2.2.4 Cocco, servitore di due padroni 80
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2.2.5 Riceve due ordini scritti conflittuali, il primo da Moro ed il secondo da Masaccio 80
2.3 Don Giuseppe Menegon; gli diede un primo avvertimento 81
2.3.1 È il prete che, di fatto, fa scattare la trappola 81
2.3.2 I tedeschi asserragliati? Che esagerazione! 81
2.3.3 Il prete “partigiano”, strumento inconsapevole o complice? 82
2.4 Pasqualetto porta a Poggiana, con la trappola di riserva 82
2.5 La spia Rocco di MRS 83
2.5.1 Il suo torbido rapporto diretto, con l’omicida Andretta 83
2.6 Crestani, enigmatico comandante militare della divisione Monte Grappa 84
2.7 Bossum primo sindaco comunista, avvocato dell’omicida 84
2.8 Anselmi 84
2.9 Sartor Domenico aveva le mani pulite? 85
2.9.1 Protagonista dello sviluppo nel nostro mondo agricolo 85
2.9.2 Troppo giovane per appartenere, materialmente, alla loggia P2 resistenziale 85
2.9.3 IL ruolo del clero 86
CAPITOLO 6 : EPILOGO 87
1 PERCHÉ LA PISTA DELLE RUBERIE È RIMASTA L’UNICA ESPLORATA? 87
1.1 Cui prodest? 87
2 CHE FINE HANNO FATTO I PRINCIPALI ATTORI, ANDANDO PER CATEGORIE? 87
2.1 I fascisti: Borghese & Perrillo & Carità 87
2.1 I militari inviati dalla monarchia: Galli & Moro & Crestani 88
2.2 Sabadin 88
2.4 Don Menegon & padre Nicolini 88
2.5 Farina & Meneghin 89
2.6 Hannig, l’unico testimone del delitto, ucciso misteriosamente 89
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
6
A INTRODUZIONE
“E tu, onore di carmi Ettore, avrai”
Questo lavoro era dedicato inizialmente al partigiano Masaccio ed ho allargato l’orizzonte soprattutto per
cercare conferme a quanto andavo scoprendo sulla sua vicenda.
Amo il verbo “VIVE”, in voga nel 68, esprime bene la vitalità del sentimento che nutrono per Masaccio i suoi
compaesani e l’ho toccato con mano nel 70° anniversario della morte, celebrato a Poggiana.
All’ora in cui venne ucciso, sull’imbrunire, una processione laica si è snodata, partendo dalla località dei
“Pioti” e percorrendo, a ritroso, il tragitto che lui aveva effettuato, quella sera.
La folla era munita di fiaccole e si fermava in alcune tappe, durante le quali veniva proiettato del materiale
audiovisivo, utilizzando come sfondo gli edifici stessi del paese.
In un centro paese, affollato come ho visto raramente, la celebrazione è proseguita fino a mezzanotte, con
canti, recitazioni e proiezione di documenti commemorativi, in un’atmosfera di intensa partecipazione.
RIBELLE E PROFETA
Laico, ma non mangiapreti, socialista, ma non estremista o comunista, contro la guerra.
Artista e cultore di pittura, venendo dal mondo contadino, si trovava bene con gli umili e possedeva il feeling
naturale, che gli permetteva di capirli profondamente e di comunicare efficacemente con loro.
Allora, una cappa clericale moralistica gravava sulla comunità, invadendo anche l’intimità famigliare,
percepita ben più sensibilmente e quotidianamente, di quella della dittatura fascista-
La libertà di esprimere il proprio orientamento politico era un lusso riservato ai gran signori.
La miseria vera, con il conseguente abbrutimento, era diffusa qui, come e più che altrove; non vigeva la
mezzadria, ma una forma di sfruttamento ancora più esasperato.
Una forma di ribellione, ben compresa dai compaesani, Masaccio la sperimentò, con successo, andando a
trattare con il grande proprietario terriero del paese, appoggiando preliminarmente la pistola sul tavolo.
Probabilmente pagò cari questi gesti, alienandosi ogni speranza di avere, dalla sua parte, i ceti abbienti.
In realtà era moderato e realista, probabilmente avrebbe aderito al partito d’azione, poi PRI e, il modello di
società che aveva in mente, è stato realizzato poi in gran parte del nord Europa.
Un punto di arrivo realistico, ma, forse, era quello di partenza troppo arretrato.
COMANDANTE CORAGGIOSO E CARISMATICO
L'abbattimento del ponte sul Brenta è l’azione di maggior impatto, nella memoria collettiva.
Ancora oggi, a Bassano, la fazione cripto fascista, sempre fortissima e viva, denigra quell’azione, alla quale i
fascisti reagirono con la fucilazione di tre prigionieri/ostaggi. Fingono di non aver capito il contesto.
Gli alleati avevano decretato la necessità strategica di distruggere quel ponte e ci avevano già provato, con
la tecnica del bombardamento a tappeto.
Quanto fosse catastroficamente impreciso quel sistema, i bassanesi l’avevano verificato con il
bombardamento del “ponte nuovo”, fortunatamente più decentrato, rispetto all’abitato.
Data l’imprecisione del metodo, gran parte dell’abitato sarebbe stato raso al suolo, con i lutti connessi, fu il
CLN che incaricò Masaccio di quella missione.
Coraggioso, energico, carismatico, aveva molte virtù del bravo comandante, ma nessuna esperienza tecnica.
Se Primo Visentin ha avuto il privilegio esclusivo di essere onorato nel tempio della cultura veneta, la ragione
risiede tutta nel valore culturale e pedagogico della sua missione.
Fu maestro di vita e di cultura per una grande massa di giovani, scolasticamente semianalfabeti e
culturalmente primitivi, il cui orizzonte esistenziale era fisicamente ristretto e soffocante.
Da questa scuola di massa resistenziale, uscirono i quadri più innovativi, della nuova classe dirigente.
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
7
1 INCOMPATIBILITÀ TRA L’IDEOLOGIA LAICA E CATTO-COMUNISMO
Dopo l’8 settembre vigeva una sola regola: salvarsi la pelle!
Il problema non era tanto come affrontare il nemico in quel momento, ma cosa fare dopo, in caso di successo.
Senza un minimo di organizzazione, abbandonati dai comandanti, cosa potevano improvvisare?
Nei rari casi di valorosa reazione, penso a Corfù, c’era qualche requisito minimo; una armamento ed una
struttura di comando integra e motivata, un contesto strategico che offriva qualche speranza minima.
Chi poteva cercò di ritornare a casa, molti altri scelsero, anche se più numerosi e meglio armati, di arrendersi
in massa ad esigui gruppi di tedeschi.
Il fenomeno spontaneistico, della formazione delle prime bande partigiane, inizia poco dopo, quando la RSI
comincia a pubblicare i primi bandi di leva, accompagnati dalle temute minacce del generale Graziani.
1.1 La ribellione dei renitenti alla leva
Il crollo di tutti i miti del fascismo è ben rappresentato da Mussolini stesso, che si è vilmente consegnato al
re, come suole fare l’amministratore delegato di una società che punta al concordato fallimentare e rimette
il mandato al presidente.
Rincuorato prigioniero sul Gran Sasso, certamente non gioì, quando Hitler venne a riprenderselo, per le
orecchie, come un coniglio e lo reinsediò al timone della sua nave, che affondava inesorabilmente.
La RSI era un governo fantoccio, impotente ed umiliato, in tutti i modi, dall’alleato, anche per la mancanza di
un vero esercito, che Graziani, ministro della guerra, tentò disperatamente di ricostruire, con successo quasi
nullo, tranne la significativa eccezione del corpo degli alpini, come vedremo.
È stato il rifiuto di tornare a combattere, la leva obbligatoria, che fece scappare di casa i giovanissimi renitenti,
che andarono a popolare le prime formazioni partigiane.
In quel momento, erano soprattutto i ventenni, ovvero gli unici figli rimasti ancora in famiglia, i loro fratelli
maggiori, erano internati in Germania.
Il popolo italiano comincia finalmente a disobbedire in massa, ripudiando la guerra, perciò questi giovani
trovano l’incoraggiamento delle famiglie e della comunità.
1.2 La crescita spontaneistica delle prime formazioni
La massa dei ventenni cercò e trovò un nucleo di aggregazione, spesso attorno a qualche personaggio più
maturo e con le idee più chiare sul da farsi, una guida, un fratello maggiore più esperto, che poi divenne
naturalmente il loro primo comandante.
In questo senso i quattro personaggi, oggetto del mio studio, sono tutti molto carismatici, hanno superato
tutti i 30 anni, ma hanno anche qualche altra qualità importante.
Alcuni, come Chilesotti e Maset, vantano una significativa esperienza militare, in posizioni di comando.
Altri, come Adami e Masaccio, hanno un brillante curriculum di studi, ma anche un elevato livello
intellettuale, un maturo orientamento ideologico.
1.3 La direzione politica si legge nel nome della formazione
Inizialmente, per favorire la coesione del gruppo, quasi sempre viene proclamata formalmente l’apoliticità,
ma, ovviamente, l’orientamento politico emerge inevitabilmente, prima o poi.
Di solito, l’orientamento politico del capo, si rivela nel nome scelto, quello di un personaggio simbolico, che
rappresenta particolari valori ideali.
L’importanza di questa scelta inziale, emerge nel tempo, quando il gruppo deve rivendicare una sua identità
politica, quindi soprattutto verso la fine, nella fase che io chiamo della “pole position”.
Fanno eccezione i comunisti, che l’ostentano fin dall’inizio, senza alcun pudore o titubanza, glielo impone
l’ideologia abbracciata.
I cattolici e gli altri vecchi partiti, sopravvissuti al fascismo, usano metodi più felpati.
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
8
Solo nel 45, con l’avvento di Sabadin alla guida del CLN, i cattolici cominciano anche loro a marchiare il gregge,
con metodi molto convincenti, come l’uso del denaro, ci provano anche con l’ostinato, apolitico, Masaccio.
Come lui, resistono all’immatricolazione forzata, gran parte dei futuri aderenti al partito d’azione.
2 IL REGOLAMENTO DI CONTI FINALE
Se paragoniamo, l’intera pianura padana ad un ad una pancia, dobbiamo immaginare che, tutto il putridume
della guerra, “merda e sangue”, rappresentato dalle armate tedesche in ritirata, dovette convogliarsi e
comprimersi nella sacca di Bassano, per trovare poi la via ed evacuare attraverso l’unico, strettissimo,
pertugio della Valsugana.
Nel basso ventre nazionale, sulla sponda destra del Brenta, troviamo, concentrato e pronto alla fuga, tutto
l’apparato repressivo fascista nazionale, la Banda Carità, la X MAS, l’apparato investigativo locale di Perrillo.
Non sono confluiti qui per puro caso, ma per una pianificazione che risale almeno a qualche mese prima.
Per esempio, quel contesto strategico e sociale, è considerato ideale da Borghese, X MAS, che ha scelto
Thiene come comando della sua unità.
Quanto fosse favorevole ed amichevole, quella comunità, per i fascisti, pare confermarlo il fatto che, a quanto
mi risulta, non sono noti regolamenti di conto eclatanti, contro di loro.
Al contrario, proprio in quel momento fatidico ed in quella stessa area, è avvenuta la decapitazione del
comando della divisione Ortigara, su una sponda del Brenta e della Montegrappa, sull’altra.
2.1 Niente “habeas corpus”
Si è soliti invocare il giudizio della magistratura, come ultimativo e più attendibile, perché si dovrebbe basare
solo su riscontri oggettivi, non su semplici indizi.
Penso che non sarebbe stato difficile reperire prove oggettive nell’immediato dopo guerra, quando i
testimoni erano viventi e la scena del delitto non ancora alterata.
Cercarle oggi mi pare del tutto velleitario.
Dovendoci accontentare dei soli indizi, l’atteggiamento omertoso e renitente nelle indagini, l’assunzione
della difesa degli imputati, da parte del gruppo dirigente partigiano, mi pare il più eloquente di tutti.
In quel periodo, complice il ministro della giustizia, il comunista Togliatti, la più sfacciata manipolazione dei
processi fu piuttosto la regola che l’eccezione.
In questo contesto di connivenza e di patteggiamenti sottobanco, è assolutamente verosimile e probabile
che, per quanto riguarda il Veneto, cattolici e comunisti abbiano attuato un tacito patto di reciproca
disattenzione, sui misfatti altrui.
I giovani, che non hanno conosciuto l’estrema disinvoltura morale e politica di uomini come Togliatti ed
Andreotti, faranno fatica a capire questa complicità, tra due mondi che volevano apparire tanto radicalmente
avversi.
In realtà, le due ideologie competevano direttamente sullo stesso “target di mercato”, con un “prodotto”
molto simile, cioè la promessa di un mondo miracolosamente migliore.
In termini di cinismo e disinvoltura tattica, Stalin era andato a scuola dai Gesuiti, lui ed i suoi pupilli, erano
solo dei rozzi principianti, rispetto alla bimillenaria maestria dell’istituzione vaticana.
2.2 La storia maestra di vita
La magistratura, convinta di poter inchiodare Andreotti, per il reato di collusione con la mafia, ingaggiò una
sfida folle, ostinatamente convinta di poter trovare l’”habeas corpus”.
Come fu possibile tale folle presunzione?
Era arcinota la diabolica astuzia di Andreotti-Beelzebub.
Davvero costui sarebbe stato tanto sventato, da farsi cogliere in flagrante, "mentre baciava Reina"?
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
9
La storia ha metodi ed obiettivi diversi dalla magistratura e può permettersi di procedere anche senza
l’"habeas corpus", infatti, per definizione, non è una scienza esatta.
Questo non comporta che i suoi insegnamenti siano meno preziosi di quelli di una magistratura
inconcludente.
La commissione d’inchiesta parlamentare dimostrò una verità politica e cioè che, quando Andreotti
governava a Roma, il suo luogotenente Lima era il punto di riferimento indiscusso per la mafia.
Questa semplice regola è validata da un corollario; lo stesso fenomeno si replica ogni volta che, a Palazzo
Chigi, cambia il padrone.
Una conclusione che non basta per portare in prigione questo o quel politico, ma, dalla cui solida base,
bisogna per forza partire, per provare a riformare il sistema.
2.3 Un processo solo indiziario, per i mandanti
In tutti i quattro casi esaminati, non sono mancati elementi e testimoni, contro i sospetti autori degli omicidi.
Vox populi, vox dei: nel caso di Masaccio, l’identificazione di Andretta era plateale.
Non mancava nemmeno un testimone attendibile, Hannig, presente sul posto e ferito dalla stessa arma che
aveva ucciso Primo.
Sono agli atti le ripetute intimidazioni di Andretta, per indurlo a ritrattare, conclusesi con la sua eliminazione!
In questa successione spudorata di connivenze delinquenziali con il vertice, Il sospetto pluriomicida conservò
addirittura il suo posto di comandante!
Chissà se, riaprendo il processo oggi, un giudice potrebbe ribaltare il verdetto, io lo dubito.
Sicuramente, se si ritrovassero le carte, vizi di forma e di sostanza dovrebbero essere sovrabbondanti, ma la
manomissione delle prove deve essere stata troppo pesante, per trovare ancora elementi utili.
Viceversa, la serie di complicità nelle manomissioni, da parte del gruppo dirigente, rimane plateale,
inconfutabile, soprattutto oggi, che rifiuta, ostinatamente, qualsiasi tipo di confronto sul tema.
2.4 Cui prodest?
Cercando il movente, bisogna definire un profilo dei protagonisti ed il contesto, in modo che, da una
prospettiva a giusta distanza, emerga più nitida la narrazione dei fatti, nella versione elaborata dagli studiosi
della cronaca, che io assumo sufficientemente attendibile, per il livello di attendibilità che mi serve.
A questo scopo, è cruciale rappresentare gli interessi e gli obiettivi degli attori principali sulla scena:
l’attivismo frenetico dei fascisti, Perrillo, Carità Borghese, l’osmosi con le infinite tipologie di partigiani.
Ho cercato di rappresentare sinteticamente la grande e nascosta diversità del profilo di molti sé dicenti
partigiani, come gli alpini&patrioti Maset, da un lato o di quelli cripto fascisti, come Moro e Filato.
Oppure la varietà di figure cattoliche nella loro sintonia con un clero potentissimo, come l’ubiquo Farina,
scaltrissimo e disinvolto, contrapposto all’ascetico ed integerrimo idealista Chilesotti.
Questi schemi didattici aiutano molto a distinguere i pupazzi sulla scena da chi ne tiene le fila.
Confrontando l’esito di casi simili, si scoprono interessanti ripetitività, come la regola, molto efficace, che,
coloro che si sono “sporcate le mani”, vengono tolti subito dalla scena.
Un’altra pista affidabile, per rintracciare scambi di favori inconfessabili, di livello medio-basso, è data dagli
arricchimenti improvvisi ed ingiustificati.
Viceversa, chi tiene le fila, come è certamente vero per il potentissimo clero e per l’élite economica, non
verrà mai, neanche lontanamente, sfiorato dai sospetti.
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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3 LA SENTENZA POPOLARE
Questa è la foto della prima commemorazione dell’omicidio, durante il discorso di Moro (suppongo sia lui,
ma non cambierebbe molto se si fosse fatto sostituire).
Sottraete ai presenti il numero di forestieri comandati, arrivati con due camion e la corriera ed avrete una
percezione del sentimento popolare, nella commemorazione di un compaesano ammirato ed amatissimo.
Trovo emblematica la disposizione circolare dei soldati, che riecheggia una ritualità romana, ma qui appare
quasi a protezione dell’oratore da una folla ostile, che lo snobba e passeggia nei paraggi.
Per personale conoscenza, Moro, colui che usurpò il posto di Masaccio, fu sempre odiato dalla stragrande
maggioranza dei compaesani, che avessero una minima idea di chi fosse.
Mio padre rifiutò sempre, indignato, di assistere a queste celebrazioni, non volle neanche sentir parlare della
tessera di partigiano, che, nel dopo guerra, venne offerta, a cani e porci.
Una tessera, nuova, fiammante, me la esibì un parente fascista, che ostentò la camicia nera, fino alla
penultima settimana di guerra, il quale, guarda caso, era uno dei pochi paesani ammesso nel ristretto circolo
degli amici paesani di Moro.
Quest’ultimo si eclissò presto già nel 45, rientrando nell’esercito, dove venne premiato con una sfavillante
carriera, andando in pensione come generale.
3.1 I traditori e la pista paesana degli arricchimenti ingiustificati
Nato nel 47, perfino un bambino poteva notare i segni evidenti di una frattura, che separava nettamente la
cricca, dei “traditori”, dal resto della comunità locale e questa proseguiva poi anche oltre oceano, tra i nostri
emigrati.
Bastava seguire le tracce, abbastanza evidenti, degli arricchimenti improvvisi ed ingiustificati.
I miei compaesani non sapevano quasi nulla sui vertici del movimento partigiano, molti non immaginavano
chi fossero i big, che ruotavano attorno a Masaccio, negli ultimi giorni.
Parlando con loro, mi apparivano abbastanza ignari del contesto politico, figuriamoci cosa potevano
intravedere degli eventuali complotti.
II feeling tra Ermenegildo Moro ed il paese
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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L’unica chiave di lettura, a loro disposizione, rimaneva quindi quella delle ruberie più appariscenti.
Inevitabilmente, su questo filone, si è concentrata avidamente tutta l’abbondante memorialistica.
4 LA PROSPETTIVA POLITICA E STRATEGICA
Il quadro dello scontro ideologico e politico in Veneto è complesso, forse ancora più ambiguo che in altre
regioni, la doppiezza di Arlecchino è forse la più spiccata peculiarità della nostra “personalità standard”.
Cercando di arrivare all’essenza, possiamo dire che esistono due fenomeni ben distinti, i quali interagiscono
con effetti complicati e che disorienterebbero anche il navigatore più smaliziato; insomma navighiamo in
una palude di pescecani, che sembrano eleganti delfini.
Il mondo contadino è caratterizzato da un rapporto originale con il padronato e con il clero, sulle cui basi,
trova tutt’ora una sintesi perfetta nel feeling con gli alpini.
Su questa base si può comprendere la profonda, spontanea, intesa del Veneto con il fascismo; le sue radici
sono sane e vigorose anche oggi.
Con la rivoluzione comunista in Russia, Chiesa, élite economica e contadini piccoli proprietari, trovarono una
forte coesione contro il nemico comune incombente.
Proprio per questo appare sorprendente, inconcepibile, che, per esempio, il primo capo del CLN veneto,
Marchesi, sia stato uno dei massimi esponenti nazionali del PCI, addirittura stalinista ed estremista, uno che,
durante la rivolta ungherese, si scaglierà contro Kruscev per il suo lassismo.
Impossibile immaginare un soggetto più autoritario, illiberale, antitetico ai valori della resistenza.
Per capire il contesto, bisogna tener presente, come abbiamo già visto la profonda affinità ideologica e la
compatibilità dei metodi tattici, tra il PCI ed il Vaticano.
Lo si vede subito, appena Togliatti torna dal collegio di papà Stalin e se la intende subito e benissimo, con la
monarchia ed il vaticano, con il capolavoro tattico del patto di Salerno.
Alla fine della guerra, tale intesa, sotterranea, regista il cattolico Sabadin, consentirà, di portare a termine,
l’eliminazione dei quattro comandanti laici, senza una sbavatura sinergica.
5 Una prospettiva dall’alto, sopra le minuzie della cronaca
Qualunque memorialistica necessita di una revisione critica; se non mente spudoratamente, almeno
sorvolerà sulle parti a lui sfavorevoli, calcando le tinte in quelle che gli fanno fare bella figura.
Apprezzo il faticoso lavoro di alcuni storici locali, i quali hanno svolto un meritorio lavoro di comparazione ed
integrazione di tutte le narrazioni parallele della stessa vicenda.
Tralasciando le minuzie cavillose, in generale la sequenza meccanica sintetizzata da questi studiosi, mi pare
attendibile quanto basta, per andare ad approfondire il senso della storia.
Tuttavia, il soldatino di Napoleone, immerso nel caos furioso della battaglia, non sarebbe neanche in grado
di distinguere i commilitoni dai nemici, se, il solerte generale, non gli avesse fatto indossare una sgargiante
divisa.
Figuriamoci quanto confuso, inaffidabile, incompleto, sarebbe il suo resoconto della battaglia.
Napoleone, che osserva la battaglia sopra un colle, non si cura di tanti dettagli, ma capisce meglio cos’è
successo, il perché ed il per come.
CAPITOLO A: INTRODUZIONE
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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6 LA RIPETIBILITÀ MIGLIORA LA VALIDITÀ DI UN MODELLO INTERPRETATIVO
La storia non è una scienza esatta, non può ambire alla meravigliosa precisione della fisica di Einstein: E=MC2
.
Questa aspirazione non è astratta, è banalmente impedita dall’insuperabile complessità dei modelli.
Per esempio, si può schematizzare il prevedibile comportamento dell’uomo?
Quindi il modello interpretativo di uno storico, specie se autodidatta come me è senz’altro soggetto ad un
grande margine d’errore.
Tuttavia, possiamo misurare e ridurre l’incertezza del suo funzionamento, andando a verificarne la
predittività in diversi casi, reputati, a prima vista, molto simili.
Questo approccio è paragonabile a quello adottato per le scienze sperimentali, che ricorrono alla statistica
per misurare il margine di errore di una determinata stima effettuata su un campione inadeguato di dati.
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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CAPITOLO 1: IDEALI AUTENTICI ED AMBIGUI, DELLA LIBERAZIONE
1 PROLOGO
La liberazione fu anche una guerra politica tra le fazioni partigiane, aspra, ma molto sotterranea ed ambigua.
La catechesi storica mascherò, sotto cerotti disposti maldestramente, ferite purulente, perché mai pulite e
disinfettate.
Sopra queste piaghe, ancora putrescenti, ci pavoneggiamo con la nostra bianca camicia della democrazia.
1.1 Quali ideali esaltare sulla bandiera?
Nato nel dopoguerra, mi rimbomba ancora nelle orecchie la triade ‘’DIO, PATRIA, FAMIGLIA’’, ho sempre
pensato che fosse uno slogan creato ad hoc dal fascismo ed in perfetta sintonia anche con i valori della chiesa.
Invece avrei immaginato che Mazzini, repubblicano e mangiapreti, avesse fatto sua quella della rivoluzione
francese ‘’LIBERTÉ, EGALITÉ, FRATERNITÉ’’, sorprende quel dio al primo posto, certo non è quello dell’odiato
papa di Roma.
L’élite culturale italiana, soprattutto fino alla scomparsa dell’analfabetismo, è piena di intellettuali come lui,
altezzosi e paternalisti, che proclamavano di amare il popolo, ma guardandolo sempre dall’alto verso il basso.
Immagino che, sotto sotto, Mazzini non si fidasse affatto del libero arbitrio della plebe e, d’altra parte, vista
l’esperienza della rivoluzione francese, come dargli torto?
1.2 Una catechesi farlocca
Catechesi = Kata (verso il basso) + Echeo (eco)= Far risuonare verso il basso
La chiesa e le élites culturali attribuivano, alla massa semianalfabeta, la capacità di apprendimento di un
animale da circo e come tale la trattavano.
Nella loro lontananza e presunzione, si sbagliavano; i partigiani ‘’ignoranti’’, che ho conosciuto io, avevano
idee semplici, ma molto più chiare e vicine all’essenza, di tanti pensosi ed inarrivabili intellettuali, che ho
sprecato tanto tempo a decrittare.
La verità è che spesso il discepolo trova oscuro il sapiente solo perché ha la vista corta, ma, qualche volta, è
il maestro che sceglie di essere oscuro, per esempio quando l’ambiguità e la complessità espositiva servono
a mascherare omissioni e menzogne.
Questo tipo di putridume impregna una buona parte della letteratura sulla resistenza, su entrambi i fronti.
I ventenni partigiani, contadini e semianalfabeti, entravano nelle formazioni partigiane, ancora ciechi, di
fronte alle grandi prospettive ideali.
Solo comandanti, come Masaccio ed Adami, grandi comunicatori, immersi nel mondo degli umili, avevano il
dono di saper accorciare le distanze e lo fecero molto bene, tanto che, i loro partigiani rischiavano di sfuggire
LIBERTE
FRATERNITE
EGALITE
RESISTENZA
Ideali della rivoluzione francese e della libera-
zione, adottati anche dai comunisti di Stalin
DIO
PATRIA
FAMIGLIA
FASCISMO
Ideali di Mazzini, repubblicano ed anticlericale,
ma adottati anche da fascisti e clero
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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al controllo di chi proclamava gli stessi ideali ad alta voce, ma era ben determinato a contenerli il più possibile
e furono eliminati.
In questo gioco degli inganni, nel gruppo dirigente partigiano veneto, prevalsero i valori del Mazzini
paternalista, ma autoritario, cioè di quelli che io definisco i catto-comunisti e vennero ripudiati quelli più
sovversivi della rivoluzione francese.
Se si prende alla lettera la predicazione delle due ideologie politiche, si può immaginare un’incompatibilità
insormontabile tra di loro.
Niente di più ingannevole, chiesa e comunismo erano concorrenti spietati, proprio perché si contendevano
lo stesso ‘’target’’, ma condividevano nel metodo, il massimo cinismo tattico ed il verticismo più assoluto.
1.3 La lotta di liberazione, da cosa?
Dalla dittatura fascista, per approdare alla libertà democratica…
Nessuno dei partigiani, che ho conosciuto, avrebbe dato, non dico la vita, ma neanche un’ora, per questo
obiettivo, molto fumoso per loro, che avevano ben altre priorità esistenziali, come, per esempio, mangiare
tutti i giorni.
Anche da noi qualcuno si è bevuto un po’ di ‘’purgante’’, ma non percepivano così opprimente l’apparato
repressivo fascista.
Rimasero sempre diffidenti verso il regime democratico, subito invischiato nelle piaghe dell’inefficienza, del
clientelismo e della corruzione.
I partigiani della mia zona, ventenni, renitenti alla leva della RSI, volevano liberarsi dall’obbligo di andare a
morire per il duce.
Questa è una motivazione di basso profilo, che certamente non piace ai predicatori ufficiali, che sproloquiano
sul tema il 25 aprile.
Se li può consolare, una piccola componente volava più in alto e sentiva l’importanza di accelerare la fuga
dell’ex alleato tedesco.
Tutti erano perfettamente consapevoli delle scarse risorse disponibili e, quindi, del modesto contributo
militare che potevano offrire.
1.4 Libertà democratica e tirannia
Se l’ideale di libertà di espressione e di scelta democratica fosse stato davvero l’obiettivo principale della
resistenza, quanti partigiani, in tutta Europa, si sentirono beffati? Quale tipo di libertà si ritrovarono i
comunisti dell’est?
Dopo tanto tempo, l’Italia è lacerata, in due fazioni contrapposte, che litigano perennemente sugli ipotetici
vantaggi del nostro sistema democratico, rispetto alla dittatura fascista.
L’unico punto in cui le parti si sono avvicinate è tutto formale, ipocrita; anche i ‘’cripto fascisti’’ accettano che
non sia più ‘’politically correct’’ l’esplicita apologia del fascismo.
Testardamente arroccata sul metodo catechistico, la fazione resistenziale insiste a starnazzare, sempre più
forte, le stesse frasi fatte.
Non si avvedono che, i risultati pratici, dimostrano quanto sia sterile e controproducente.
I dogmi non hanno mai giovato all’umanità: la verità è che non si tratta di scegliere tra bianco e nero, ma tra
infinite sfumature di grigio.
Personalmente rinuncerei volentieri ad una parte del mio libero arbitrio, in cambio di uno stato meno
azzeccagarbugli, cioè più onesto ed efficiente.
Mi conforta la pagina di Tucidide, nella quale, da un lato illustra i pregi della democrazia, dall’altra ne segnala
limiti e difetti.
Socrate venne condannato a morte dall’Atene democratica, poco dopo, quella del dittatore Pericle, raggiunse
il suo massimo splendore.
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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2 IL VENETO PRIMA DEL FASCISMO
2.1 La famiglia patriarcale
La triade di Mazzini e della chiesa mi è rimbombata nelle orecchie durante tutta la mia infanzia, mi
rappresenta bene il mondo ideale contadino.
Invece, quella della rivoluzione francese, più compatibile con i valori della resistenza, l’ho scoperta uscendo
dal microcosmo paesano.
In questa struttura arcaica, composta da vari clan famigliari, magari ulteriormente imparentati tra di loro, i
nostri antenati veneti hanno affinato la loro attitudine alla convivenza, per circa tre millenni, cioè da quando
sono arrivati qui dalla Paflagonia.
Si è disintegrata bruscamente nel dopo guerra, quando, le migliori opportunità di reddito, permisero il rapido
prevalere della famiglia nucleare.
Questo eccezionale spirito comunitario, certamente piaceva moltissimo al duce, che voleva trasformare
l’Italia in una caserma.
2.2 La chiesa
Il parroco era l’incarnazione dell’autorità, sia religiosa che civile, cioè si faceva carico anche dei compiti tipici
dello stato assistenziale moderno.
Il clero era onnipresente, indispensabile ed invasivo insieme, in tutte le fasi salienti della vita, però non al
punto da soppiantare del tutto un nucleo minimo di autonomia autoctona della cultura famigliare.
Per esempio, provate a verificare con qualche esperto, i santuari dedicati alla Madonna, sono quasi sempre
collocati presso un luogo tipico, un colle, una sorgente, posti nei quali i nostri antenati praticavano un
antichissimo culto alla nostra dea madre, Reita.
La chiesa cattolica ha lottato, con scarsissimo successo e per secoli, per imporre la sostituzione con quello
ortodosso, cristiano.
La sfida era dura ed aperta ancora ai tempi di Giuseppe Sarto, mi riferisco ad un fenomeno ben documentato
anche nella nostra zona, sia per il santuario delle Cendrole, che per quello di Godego.
Concludendo, senza l’aperto e deciso sostegno del clero, il duce mai avrebbe potuto indurci ad una guerra di
aggressione, contro nemici inventati.
2.3 Il primo embrione di stato
Il nostro popolo era costituito da due categorie ben distinte: gli allevatori e contadini ed i navigatori e
commercianti.
I primi si sparpagliarono in un territorio vasto e molto più ostile di oggi, quindi solo in piccola parte adatto
all’agricoltura, il resto al pascolo e quindi all’allevamento.
Gli altri scelsero i loro porti sui fiumi, non sul mare, per ragioni tecniche, ma trafficavano fino alla terra
d’origine, nel medio oriente.
I contadini/allevatori si raccoglievano in comunità molto piccole e disperse, sicuramente poverissime, i
commercianti in nuclei molto più ricchi ed importanti, come a Padova e ad Este.
Si può parlare di struttura statale solo per queste città, sempre gelose della propria indipendenza, in uno
schema di città stato.
Tutti abbiamo sempre avuto una nomea di popolo poco bellicoso, ma molto aperto agli scambi, quindi non
troppo geloso della propria autonomia.
I romani non ci hanno conquistato con la guerra, tantomeno civilizzato, come un’altra catechesi,
spudoratamente farlocca, ci continua a predicare.
Sono stati chiamati da queste due città, per dirimere una loro controversia.
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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2.4 Venezia scopre la terraferma
Due millenni e mezzo dopo essere arrivati qui, in campagna mantenevamo, pressappoco, lo stile di vita
inziale, al contrario di Venezia che era arrivata dove sappiamo.
La nostra fortuna furono proprio le sue prime disfatte nello scontro con i turchi e la scoperta dell’America.
I veneziani furono costretti a cercare altre forme di investimento, per i loro ingentissimi capitali e le trovarono
anche nel nostro territorio.
Si può parlare sicuramente di capitalismo illuminato, che comportò grandi benefici per i miserabili contadini,
che avevano la fortuna di risiedere presso le loro sontuose ville, dove, grazie al servizio offerto ai padroni,
trovavano di che sfamarsi, sopravvivendo così alle frequenti carestie.
Fu benefico e provvidenziale anche perché promosse vere e proprie attività imprenditoriali, come quella del
baco da seta e non bisogna dimenticare le grandiose opere di ristrutturazione dei corsi d’acqua, che hanno
messo in sicurezza e valorizzato ampie zone, prima insicure ed impraticabili.
2.5 Con Napoleone, il Veneto scopre lo stato nazionale moderno
Questa esperienza di uno stato paternalista, poco esoso con le tasse, rafforzò nei veneti, un atteggiamento
costruttivo verso l’autorità centrale, ci pensò il genocida a traumatizzarli, facendo loro scoprire l’esosa
oppressione fiscale dello stato nazionale moderno.
Fino a quel momento, i modesti costi delle opere pubbliche locali, un tutt’uno con quelle della parrocchia,
venivano gestite da un ‘’mariga’’.
Napoleone, per prima cosa, sottrasse l’anagrafe al parroco, che divenne la prima attività svolta da una nuova
istituzione statale: il comune.
In questo modo si assicurò un controllo capillare dei redditi, base indispensabile per una tassazione di rapina,
mai sperimentata prima.
Nello stesso tempo, impose la leva obbligatoria, che, nei momenti peggiori, arrivò a durare fino a 18 anni.
Senza dilungarci sulle sofferenze morali, che questo obbligo comportava per il soggetto e per la famiglia, il
danno economico dovuto al furto di una risorsa produttiva preziosa, congiunto al feroce prelievo fiscale,
ridussero alla miseria una grande moltitudine di famiglie.
Cominciò in quel momento, il doloroso fenomeno dell’emigrazione di massa dei veneti, cessato solo da
qualche decennio.
L’esperienza dello stato nazionale fu dunque molto traumatica e negativa, in zona avvenne anche un’inedita
sommossa armata, in quel frangente!
Le cose non andarono certo meglio in seguito, né con l’Austria, né con l’Italia.
2.6 Sotto l’Austria, una sindrome di Stoccolma.
Gli austriaci mantennero e rafforzarono la struttura fiscale creata da Napoleone.
A Riese, il padre del futuro papa, non faceva semplicemente il messo comunale, come narra la leggenda.
In effetti, operava alle dipendenze dell’esattore delle tasse di Castelfranco Veneto, nella cui casa, lo studente
Giuseppe, era accolto come un figlio e pernottava abitualmente al bisogno.
A Riese, la stessa casa del papa fu sede temporanea della nuova istituzione comunale, ovvero dell’anagrafe.
L’atteggiamento, sempre spiccatamente filoaustriaco del papa, va contestualizzato anche a questa
esperienza famigliare.
Mi sorprende il fatto che, molti veneti si proclamino ammiratori dell’Austria e guardino con nostalgia a quel
periodo, aspetto sempre di apprendere quali aspetti positivi abbia comportato per noi.
Finora, non ho trovato nella storiografia, voci discordanti rispetto all’evidenza che il Lombardo Veneto
rappresentava le due mucche più produttive da mungere per l’apparato fiscale, in grado di dilazionare così il
collasso del debito statale.
http://bit.ly/GIUSEPPE-SARTO-CHI
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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3 IL VENETO E MUSSOLINI
Il popolo veneto si identifica molto con il corpo degli alpini, è la nostra bandiera.
Non è un mistero che, una sua importante componente, rivendica orgogliosamente la sua passata vicinanza
al fascismo.
Il Veneto, la vandea bianca, che ha votato in massa DC e poi la Lega, non nasconde affatto la sua nostalgia
per il duce.
Questo amore, mai sopito, dimostra bene quanto le prediche resistenziali siano sempre state
controproducenti e fallimentari.
3.1 Le peculiarità del nostro mondo contadino
In Veneto era più diffusa la proprietà privata, oppure anche la mezzadria ed altri tipi di rapporto ancora più
oppressivi, ma i nostri contadini si sentivano, sempre e comunque, fieramente padroni a casa propria.
Nelle regioni rosse, come l’Emilia, era più diffuso il proletariato; proprietari della prole e di nient’altro, servi,
braccianti.
Quando il comunismo predicava l’abolizione della proprietà privata, ha trovato da noi i suoi nemici più
acerrimi, anche tra i più poveri contadini.
Della mediazione sociale con i proprietari terrieri, si faceva carico il parroco, leader carismatico della
comunità, anche in questi frangenti.
Le cooperative rosse, delle altre regioni, da noi erano bianche e agguerrite.
A Castion di Loria ci fu uno scontro molto duro con un proprietario terriero, le redini della trattativa le tenne,
strette nelle sue mani, lo stesso Pio X.
In quei frangenti, fece una brillante carriera il giovane sindacalista Sabadin, personaggio chiave della vicenda
resistenziale, futuro capo del CLN.
3.2 La coscienza di patria germinata sul Grappa
Prima dell’arrivo di Napoleone, i veneziani usavano i mercenari per le loro guerre, gli slavi, ‘’schiavoni’’.
Se i veneti non hanno mai vantato virtù belliche, si può immaginare quanto dolorosa sia stata l’imposizione
di combattere, conto terzi, nelle terribili guerre che si inventò quel mostro genocida, che giocava le sue
partite a scacchi, disponendo di una massa gigantesca, perché gratuita, di soldati.
Da questo punto di vista, la situazione non cambiò in meglio, con la prima guerra mondiale.
Sul Carso, un vero e proprio suicidio di massa, venne imposto a migliaia di giovani, ignorantissimi,
completamente avulsi dal sentimento di patria.
Venne caparbiamente replicato, per diversi giorni di seguito, imposto dalle armi dei carabinieri, puntate alle
loro spalle.
Sul Grappa, il combattente veneto in particolare, poteva vedere il proprio paese, percepiva fisicamente il
significato della guerra di difesa ed il concetto di patria era ben rappresentato dalla vista del suo campanile.
3.3 L’epopea degli alpini e la love story con Mussolini
Il mito di questo corpo parte da lontano e si salda alla scoperta dello sport alpinistico, nel 18° secolo.
Il soldato alpino assomma il fascino dell’ardimentoso sportivo, che vince le vette inviolate, alla tempra del
combattente, che protegge la neonata nazione italiana dalle mire del perfido austriaco, il quale occhieggia
dietro le cime, tramando per riconquistarla.
Mussolini coltiva il mito di questo corpo, enfatizzandone il ruolo sul Grappa, un modello perfetto per il suo
esercito di ‘’otto milioni di baionette’’.
I veneti sono anche i protagonisti dell’epopea della bonifica delle paludi pontine, altro importantissimo fiore
all’occhiello del regime.
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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3.4 Bassano del Grappa e la divisione Monte Rosa
La RSI aveva a Bassano e nel suo circondario, luogo prediletto e fidatissimo, diversi uffici governativi e
ministeri.
Graziani scelse la città, sede della famosa caserma alpina Monte Grappa, anche per l’arruolamento degli
alpini fascisti della divisione Monte Rosa, l’unico successo ottenuto, nel suo fallimentare tentativo di
ricostituire un esercito nazionale, sotto l’egida della RSI.
La quale aveva un disperato bisogno di dare un minimo di dignità militare al suo ruolo, ormai inesorabilmente
relegato a quello di fantoccio dell’alleato nazista.
Questa divisione, stanziata prevalentemente sul fronte francese, finì piuttosto per operare nella repressione
antipartigiana, dimostrando un’incontestabile e ricambiata ferocia.
I due ‘’cripto fascisti’’ alpini e finti partigiani, Moro e Filato, attesero nella locale caserma della RSI, luogo
sicuro per loro, il momento fatidico per entrare in scena, come liberatori della città, al posto dei due grandi
comandanti, Masaccio e Chilesotti, uccisi nel contempo.
3.5 La sintonia politica tra chiesa e fascismo
La chiesa del nostro compaesano Pio X, costantemente minacciata nei propri privilegi e nel potere
temporale, era sopravvissuta, molto malconcia, alla sfida contro lo stato nazionale risorgimentale.
Dopo la morte di questo papa, con il trionfo della rivoluzione comunista in Russia, l’attacco divenne a tutto
campo e mortale e metteva in discussione direttamente il suo magistero e la sua stessa esistenza.
La minaccia comunista terrorizzava anche un’élite di nobili e di benestanti, ma, in Veneto, anche i poverissimi
‘’proprietari’’ contadini, più ferocemente ostili di tutti, al sovvertimento sociale ed all’abolizione della
proprietà privata.
La saldatura tra ideali religiosi e la difesa dei valori fondanti della nostra cultura contadina, fu e rimase sempre
monolitica.
3.6 La viltà della chiesa
Mussolini sapeva benissimo di non avere alcuna chanche di indurci in una qualsiasi delle sue folli guerre di
aggressione.
Doveva assicurarsi l’appoggio imprescindibile della chiesa e disponeva di una carta formidabile: un nemico
mortale comune, il comunismo.
Quindi ottenne un matrimonio, dove l’interesse era tacitamente condiviso a priori, il concordato solo l’anello
nuziale, posto a carico dei posteri.
Finché l’ometto recitava la sua parte di smargiasso, il silenzio nervoso della chiesa non appare
intollerabilmente scandaloso.
Però, quando, il folle mentecatto, cominciò a fare sul serio, dichiarando una serie di guerre di aggressione,
l’una più demenziale ed ingiustificata dell’altra, praticamente a tutto il mondo civilizzato, la reticenza del
vaticano appare gravissima, scandalosa, imperdonabile.
ALPINI FASCISTI: LA DIVISIONE MONTE ROSA
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
19
Esiste una certa letteratura che mira a confondere le persone semplici ed enfatizza il dissenso del papa, di
questo e di quell’altro cardinale, sussurrato a qualche discreto orecchio.
Sarebbe come se, i primi martiri della chiesa, fossero soliti radunarsi nel profondo delle catacombe, per
bisbigliare la loro fede ed il dissenso dall’autorità centrale, invece di proclamarla in pubblico, di fronte al
magistrato romano.
3.7 Il compito dei cappellani militari
Questi preti erano integrati nell’esercito, equiparati agli altri ufficiali, che potevano rimpiazzare anche negli
scontri, in caso di emergenza.
Senza la loro rassicurazione sul campo, è inimmaginabile, che i nostri padri, avrebbero accettato di andare a
uccidere od a morire.
Secondo la catechesi inculcata dal parroco, solo una guerra di difesa, come sul monte Grappa, poteva, forse,
non comportare la condanna all’inferno.
Però, tutte le guerre, dichiarate da Mussolini, furono di evidentissima, folle ed ingiustificata aggressione.
Dunque, fare violenza, assolutamente ingiustificata, ad uno sconosciuto, con lo scopo esplicito di ucciderlo,
era sicuramente un peccato mortale.
Rischiare di morire, in quell’atto e con quella colpa, significava la certezza assoluta di filare dritti all’inferno.
Nessun dubbio quindi, senza il cappellano militare che impartiva loro i sacramenti, neanche le armi dei
carabinieri, puntate alla loro schiena, avrebbero costretto i soldati veneti ad andare a morire per il duce.
Neanche alla fine della guerra, la chiesa recitò mai uno spontaneo, sacrosanto e doveroso "mea culpa’’.
Nel 1965, il profeta don Milani, convinto che fosse giunto il momento per scuoterne la coscienza, ingaggiò
una dura battaglia per far eliminare questa istituzione.
La gerarchia non dimostrò un particolare turbamento, ovviamente non accondiscese, anzi il ribelle fu punito,
annichilito.
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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4 GLI IDEALI RAPPRESENTATI NEL CLN
4.1 Cattolici
Abbiamo già incontrato Sabadin, giovanissimo ai tempi di Pio X , brillante sindacalista e politico, poi capo del
CLN, negli ultimi mesi della guerra.
Il CLN è un’emanazione della monarchia, che risuscita i simulacri di qualche partito prefascista, giusto per
darsi un tocco di legame con il popolo.
Naturale che costituisca più che altro un intralcio, per l’autonomia operativa dei partigiani; Masaccio ne parla
sempre male.
Il peggio lo dà alla fine, quando dispone di un bel po’ di denaro, in quel momento Sabadin prende il comando,
al posto del socialista Meneghetti.
Utilizza questo strumento, insieme con quello dei lanci, gestiti direttamente da MRS, per lusingare questa
formazione partigiana e castigare quell’altra, bravissimo a sedurre e poi a rifiutare, come solo le grandissime
puttane sanno fare.
Inutile specificare che, i sedotti ed abbandonati, sono quasi sempre gli stessi, i comunisti, ma anche il ribelle
Masaccio.
I suoi valori, ‘’DIO, PATRIA’’FAMIGLIA’’, si discostano così poco da quelli del fascismo, che ci vuole il
microscopio per scoprire la differenza.
In realtà la discriminante è semplice, chiara e collima con il committente, la monarchia: il rifiuto all’alleanza
con il nazismo, una questione strategica.
Anticomunista ed irredentista, rifiuta sdegnosamente di chiamare i suoi seguaci ‘’partigiani’’, termine usato
dagli odiati comunisti iugoslavi.
Nazionalista, militarista, esalta l’epopea della prima guerra mondiale, non vuole renitenti sbandati tra le sue
file, preferisce i militari di provata affidabilità e li chiama ‘’patrioti’’.
CATTOLICI
DIO
PATRIA
FAMIGLIA
Sabadin
SOCIALISTI
LIBERTE
FRATERNITE
EGALITE
Meneghetti
COMUNISTI
EGALITE
Marchesi
P. D’AZIONE
LIBERTE
FRATERNITE
EGALITE
Masaccio
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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4.2 Comunisti
Marchesi è il fondatore e primo capo del CLN veneto, il massimo dirigente comunista rimasto sulla piazza,
scelto dal partito per questo ruolo, proprio perché il più idoneo a rimanere in circolazione, letteralmente, in
mezzo ai vertici del fascismo.
Tutti gli altri, se non stanno in prigione, o sotto le amorevoli ali di mamma chioccia, Stalin.
Illustre accademico, giura fedeltà al fascismo, per poter conservare la cattedra, su suggerimento dello stesso
partito.
Dunque un raffinato e colto signore, certamente più a suo agio nei salotti alto borghesi, che nelle fabbriche
polverose e puzzolenti.
Tra gli intimi della stessa regina, è lui che, a nome del partito, garantisce la monarchia che non ci saranno
scioperi o disordini, durante quella rappresentazione teatrale, che, io mi permetto di definire, l’auto
‘’defenestrazione’’ di Mussolini.
Non è affatto un illuminato tollerante, lontano anni luce dagli ideali della liberazione!
Più stalinista di Stalin, si scaglia contro Kruscev, troppo molle, secondo lui, durante la rivolta d’Ungheria.
L’8 settembre lo scopriamo rettore all’università di Padova, nominato dal governo Badoglio, ma viene
prontamente riconfermato dalla RSI.
In quei momenti, viene scelto alla guida del CLN veneto e si ecclissa dopo un mese, trascorrerà il resto del
tempo della guerra in Svizzera.
Per quanto riguarda la triade di ideali della rivoluzione francese, i comunisti hanno cancellato quelli di
‘’fraternità’’ e ‘’libertà’’, in nome dell’unico obiettivo prioritario, al quale sacrificare tutto: la conquista del
potere.
L’uguaglianza è solo una promessa, un’auspicata conseguenza, che si potrà avverare, abbiamo visto come…
Stalin è andato a scuola dai gesuiti, della cultura cattolica ha pienamente assimilato il millenario cinismo e la
spregiudicatezza tattica, con la quale anche il partito comunista italiano si muoverà dopo la guerra, emulato
e superato in questo, solo dalla DC di Andreotti.
4.2.1 Comunisti degli altipiani
Le località in cui vivevano allora erano molto più isolate di adesso, diversamente non si capirebbe come
potessero sopravvivere questi nuclei, così apertamente sovversivi e sfuggire alle “bonifiche” dell’apparato
repressivo fascista.
4.3 Socialisti
Meneghetti è preside di farmacologia, pupillo di Marchesi all’università di Padova, che, dopo la sua fuga,
sostituisce alla guida del CLN.
Sotto la sua direzione, il comitato, come un simpatico club di pensionati, si riunisce, sempre nello stesso
luogo, la confortevole villa clinica dell’amico dott. Palmieri, sulla stessa strada che, partendo dal centro,
conduce anche alla villa, dove ha la tana, la famigerata banda Carità.
Nel gennaio del 45, viene catturato con tutto il gruppo, lo sostituisce il democristiano Sabadin, che sta
scalpitando da mesi per succedergli.
Non viene torturato e lo stesso, premuroso, Sabadin proclamerà, nelle sue memorie, di aver trattato invano,
con i fascisti, la sua liberazione.
Gli ideali dei socialisti, come Meneghetti, sono ben rappresentati dalla triade della rivoluzione francese ed
erano abbastanza diffusi solo ad un certo livello, per esempio, tra i professori dell’università di Padova.
Si trattava di gruppi molto indipendenti ed individualisti, dove predominava un idealismo, vago, velleitario,
spesso pragmaticamente sterile, che condanna al caos ed all’insuccesso, gran parte dei loro esperimenti
concreti.
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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Uomini come Meneghetti, se sono stati cooptati nel CLN dalla monarchia, non possono, di sicuro, brillare per
vivacità ed eroismo combattentistico.
Per contrasto, accanto a lui, brilla la luminosa figura di Trentin, grande
intellettuale, la cui voluminosa produzione libraria è liberamente accessibile al
pubblico, nella biblioteca di Jesolo. La sua statura di grande intellettuale non lo
allontana dall’azione rischiosa, un soggetto simile non può certo sfuggire
all’occhiuto Carità, che, infatti, lo incarcera quasi subito, lo tortura duramente,
non come fa con Meneghetti, morirà poco dopo, all’ospedale
Un grandissimo socialista è Adami, che affianca Masaccio nella mia ricerca, il quale
raggruppa presto una sua formazione, a Valdobbiadene, però, arrivano subito
anche gli emiliani, che impongono di unificare le formazioni e lo
relegano ad un ruolo di interfaccia con la popolazione locale.
Grande comunicatore, con grande carisma e seguito, è del tutto inadatto alla competizione per il potere.
La sua convivenza con i capi comunisti emiliani è ormai deteriorata, quando viene ucciso a tradimento, da
due ‘’partigiani’’, chiaramente identificati dalla gente del luogo e, come sempre, nel momento in cui gli ultimi
tedeschi abbandonano al zona.
4.3.1 Socialisti artigiani
Nei paesi più grandi, dove sono sufficientemente numerosi, si riuniscono in organizzazioni culturali e
filantropiche che assumono anche un certo impegno antifascista, ma, però non arrivano mai al livello di
un’organizzazione militare.
L’apparato repressivo ha buon gioco nell’identificarli e controllare i gruppi, castigando i singoli, le teste più
calde.
Manterranno un ruolo molto significativo anche nel dopo guerra, coltivando una grande originalità ed
autonomia di pensiero, una concreta attività filantropica, preziosa nel Veneto campagnolo, spesso abbruttito
dalla miseria materiale e spirituale.
Trentin
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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4.4 Azionisti
Non sta scritto, nero su bianco, che Masaccio fosse un azionista, ma ci sono molti indizi che lo lasciano
pensare.
Per la sua importanza, l’ho collocato accanto ai tre rappresentanti dei partiti chiamati a far parte del CLN,
istituzione che egli giudicava, correttamente, una longa manus del governo monarchico e degli alleati, creata
per controllare e condizionare l’attività della sua formazione, piuttosto che per sostenerla e così,
sfacciatamente, fu.
Orfano, viene allevato, da piccolo, in un collegio/orfanatrofio, tenuto da un prete e patriota, che si era fatto
onore come informatore per gli italiani, nel periodo in cui il suo paese, sul Piave, era occupato dagli austriaci.
Quindi riceve una formazione, cattolica e fascista insieme, al 100%.
Però, brillante studente, già durante l’adolescenza, amplia i suoi orizzonti culturali e prende le distanze dagli
aspetti più oscurantisti del nostro contado.
Non per questo diventerà mai un fanatico, mangiapreti o comunista.
Degasperi TogliattiLa Malfa
Masaccio
CAPITOLO 1: IDEALI
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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Impone l’apoliticità nella sua formazione, inizialmente invocata unanimemente da tutti, per non
compromettere lo spirito di affiatamento del gruppo.
Al contrario, Sabadin, appena impadronito del denaro, che comincia ad arrivare più abbondante dal CLN, lo
usa per forzarlo ad aderire alla futura DC.
Siamo nella fase che chiamo della ‘’pole position’’ bisogna piazzarsi, alle imminenti elezioni, nelle posizioni
più vantaggiose per il proprio partito.
Masaccio non solo gli oppone un netto rifiuto, ma lo proclama con enfasi.
Con questo gesto, secondo me, firma ufficialmente la sua condanna a morte.
Nei suoi scritti ci sono evidenze della sua vicinanza agli ideali della rivoluzione francese, ragion per cui molti
preferiscono collocarlo tra i socialisti.
E’ abbastanza sicuro che, anche tatticamente, rimase lontano dai comunisti/sindacalisti, ai quali rubò
addirittura il mestiere, intervenendo, con successo clamoroso, in alcune trattative della zona, sia con due
aziende industriali, che con un proprietario terriero.
E’ inspiegabile diversamente, il prezzo altissimo, in termini di impopolarità, che si assunsero scegliendo il loro
uomo bandiera, Bossum, per l’impopolare difesa del suo omicida.
É enorme, scontato e fuor di dubbio, il vantaggio elettorale, che trasse dalla sua morte, la DC di Sartor.
4.4.1 Il progetto di società di Ugo La Malfa e di Primo Visentin
Ho votato il partito repubblicano di La Malfa, erede del partito d’azione, durante tutti gli anni in cui era lui
alla guida del partito.
Una personalità leggendaria ed unica nella storia politica italiana, chi osa mettere in discussione la sua
proverbiale onestà e competenza?
Il suo partito ebbe sempre scarso consenso, penso a causa del suo aristocratico disprezzo, per ogni forma di
demagogia e di clientelismo.
Solo grazie al suo grande carisma, la formazione mantenne sempre un rilievo straordinario, nella vita politica
italiana.
Penso che, La Malfa, come Masaccio, avessero in mente un modello molto preciso, concreto, realistico e
fattibile di società.
Dunque niente affatto un sogno velleitario, dato che è realizzato, largamente diffuso, da molto tempo, nel
nord Europa.
Invece, purtroppo, il nostro stivale affonda nel mediterraneo e condivide, più o meno, le tare tipiche dei paesi
che vi si affacciano.
‘’Ogni popolo ha il governo che si merita’’, diceva un mio carissimo professore.
Intendeva dire che la gente deve imparare a non aspettarsi i miracoli da una classe dirigente che, fatalmente,
rispecchia i suoi stessi vizi.
Come mai, con le stesse leggi, lo stesso governo, più o meno le stesse risorse, il nord del paese progredisce
diversamente dal sud?
Già, ma questo è un argomento tabù, secondo la catechesi ipocrita vigente.
CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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2 PROFILI STANDARD
La scena che dobbiamo studiare pullula di figure dal contorno molto variegato, che è molto rozzo definire
banalmente partigiani o fascisti.
Se dovessimo tentare un ritratto individuale, anche limitandoci all’essenza, saremmo estenuati e disorientati
dalla folla di varianti.
Per fortuna è possibile riconoscere un’ottima ripetibilità anche nelle differenti tipologie, come per esempio
se ci riferiamo ai partigiani alpini fascisti della divisione Monte Rosa, oppure agli strettissimi parenti, che però
non hanno aderito alla RSI.
Questa faticosa classificazione inziale, snellisce molto la narrazione successiva, dal punto di vista
propedeutico e didattico.
Infatti, per lo scopo dell’analisi di un fenomeno ripetitivo, tale classificazione si rivela, a mio giudizio,
efficiente quanto basta, senza dover aggiungere, ogni volta, troppe, ulteriori, annotazioni.
2.1 APPARATO REPRESSIVO
1 BASSANO DEL GRAPPA, CITTÀ SIMBOLO E PREDILETTA DAL DUCE
Nel cap. 1, IDEALI GENUINI ED AMBIGUI DELLA LIBERAZIONE, mi sono già soffermato sul feeling tra il mondo
contadino ed il duce, che raggiunge l’apoteosi nel mondo degli alpini.
In questo quadro, Bassano è sacralizzata, come città simbolo del riscatto militare, contro il nemico invasore.
Da questa consacrazione discendono, tra l’altro, benefici concreti per la comunità, premiata con
l’insediamento di alcune importanti industrie, indotte ad insediarsi in zona, un grande privilegio economico.
Questo feeling si concretizza, dopo l’8 settembre, con la scelta di collocarvi la sede di alcuni ministeri e per
l’arruolamento degli alpini aderenti alla RSI.
La strettoia della Valsugana porta rapidamente al nuovo confine dell’Alpen Vorland, territorio italiano
annesso brutalmente alla Germania, senza chiedere alcun permesso.
Bassano diventa, geograficamente, la Chiasso del nazifascismo, un punto strategico per fuggire, nel caso di
una disfatta militare.
1.1 Perrillo, il poliziotto che stana la preda
Con queste premesse, è scontato che, non solo la
città, ma anche il suo circondario, sia stato scelto
per installare alcuni ministeri od altri uffici
governativi.
In una comunità cittadina tanto amichevole,
l’apparato repressivo può operare con grande
efficienza e monitorare sinergicamente le
potenziali sacche sovversive.
L’apparato investigativo è costituito da SS, le
quali, come regola, sono di nazionalità mista italo-
tedesca.
Il personaggio carismatico, deus ex machina, è
senz’altro l’inquisitore Perrillo, abilissimo
segugio, che fiuta immediatamente il sovversivo
Perrillo
CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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Masaccio, attivo, fin dai primi giorni, dopo l’8 settembre.
Non riesce a catturarlo, ma porta in prigione la sua sorella di secondo letto ed il “padrone del paese” Antonio
Piva”.
Comincia subito un teatrino, che si replicherà fino alla fine della guerra, con don Giuseppe Menegon che
intercede per i prigionieri catturati da Perrillo, strapazzati da Carità e spediti al giudice Kaiser.
Uno schema bastone & carota, molto ripetitivo, sul quale mi diffonderò più avanti, parlando di questo prete,
nel capitolo 2.7, PRETI E PEACE KEEPERS.
Se don Giuseppe è specializzato nell’interlocuzione con Kaiser, un altro religioso, padre Niccolini è il
mediatore con Perrillo.
1.2 Carità, il poliziotto che la spreme
Questo è l’apparato che deve spaventare la preda, più la sua crudeltà terrorizza il circondario e più rapido ed
efficiente il suo lavoro.
Per assurdo, la sua celebre perversione sadica, potrebbe rappresentare una scelta tattica molto razionale ed
addirittura “umanitaria”.
Nel senso che, l’alone di terrore che lo circonda, verosimilmente accelera la confessione, evitando di fatto un
eccesso inutile di sofferenze alla vittima.
Non dimentichiamo che, anche in questo caso, si tratta di un’altra specializzazione di SS, nella quale è prevista
anche la compresenza dei tedeschi.
Vedremo come Carità, quando serve, sappia operare con grande finezza psicologica e modi relativamente
blandi, penso alla “rieducazione” di Filato e al soggiorno, relativamente tranquillo, di Meneghetti.
1.2.1 La rieducazione dell’alpino, partigiano e cripto fascista, Filato
Alpino, graduato, emerge, tra gli altri comandanti, anche grazie all’esplicita sponsorizzazione del CLN,
soprattutto con l’avvento del cattolico Sabadin.
Perrillo lo esamina negli ultimi mesi di guerra, dubito fortemente a causa della sua pericolosità di partigiano.
In un suo memoriale, che mi pare piuttosto sincero, si stupisce egli stesso di averla fatta franca molte volte,
quando amici e subalterni sono stati presto catturati.
Siamo vicini alla fine della guerra, in quella che io definisco la fase della “pole position”.
Perrillo & Carità, si stanno attivando freneticamente, per tentare un rovesciamento di fronte, invitando a
collaborare anche i partigiani, ora che i nazisti stanno per essere sconfitti, contro la minaccia comunista.
Il poliziotto segugio lo passa a Carità, che non lo maltratta, tanto quanto lascerebbe supporre la brutta fama.
Viene inizialmente e blandamente terrorizzato, poi subisce pressioni psicologiche per passare dalla parte
fascista.
Carità osa quella estrema, passare alla guida di una formazione, che sta organizzando, costituita soprattutto
da ex partigiani pentiti come lui, che vuole specializzare proprio nella repressione anti partigiana.
La proposta non indigna Filato più di tanto, il quale si limita ad una controproposta interlocutoria; passare sì
alla RSI, come i suoi commilitoni alpini fascisti della caserma locale, però con la garanzia di non operare in
zona, contro i suoi conoscenti o ex subalterni, ma in Piemonte.
È ancora prigioniero di Carità, fino agli ultimi giorni, ma non precisa la data/ora esatta del rilascio.
Di sicuro, il 27/4 è libero, quando Carità abbandona la sede e va ad incontrare la colonna militare, la quale,
sbrigato il compito di fucilare Chilesotti e compagni, lo porterà in salvo, oltre confine, con Perrillo.
Sappiamo che Filato, quella sera, è a Bassano del Grappa, al sicuro, nella caserma dei commilitoni alpini
fascisti, insieme con Moro, pronti tutti e due, i redivivi, a guidare la sfilata dei partigiani, al posto dei due
comandanti appena uccisi.
CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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2 KAISER IL GIUDICE
Rappresenta il terzo stadio del sistema: Perrillo stana il sovversivo, Carità lo fa cantare, lui giudica.
La sua giurisdizione comprende tutta l’area veneta a nord di Padova, dove ha sede.
Mentre i primi due sono più sensibili al controllo socio-politico del territorio, per conto della RSI, lui è più
concentrato sull’efficienza dell’apparato bellico nazista, per esempio, si preoccupa soprattutto dei sabotaggi.
La prima preda importante, che gli viene consegnata da Carità, è il prete don Giuseppe Menegon, reo di aver
protetto e sfamato, nascosti sopra il campanile di Loria, un gruppo di renitenti alla leva.
Don Giuseppe favoleggia su quell’incontro, parlando della sua magnetica personalità, che plagia l’ingenuo
teutone e di come tale scenetta si replichi spesso, fino alla fine della guerra.
Noto il super io istrionico di don Giuseppe, bisogna dare per scontato un elevato grado di millanteria.
Per questo chiamo i preti come lui “peace keepers”, mediano queste situazioni di tensione tra le parti,
bastone & carota, a tutto vantaggio dell’occupante.
Mi occuperò di don Giuseppe nel cap. 2.7 PRETI E PEACE KEEPERS.
2.1 Un raffinato ed intelligente gioco di squadra
Il controllo del territorio è così capillare ed efficiente che l’investigazione di Perrillo, l’interrogatorio di Carità
ed il giudizio di Kaiser, possono essere gestiti con spregiudicata sinergia.
Perrillo spia, Carità bastona, Kaiser ammonisce, per porgere poi la carota accattivante al pentito.
Non c’è dubbio che il trio opera con grande successo in questo senso, mantenendo un clima di relativo
consenso, o, quanto meno, non fomentando un odio controproducente nella popolazione.
La sgradevole verità è che la popolazione è così poco ostile ai nazifascisti, che la delazione è usuale, facilmente
agevolata da un minimo compenso, ma non manca, tra la popolazione, anche chi informa per puro
opportunismo servile, senza un mercanteggiamento prima.
In questo schema, operano in modo raffinato, anche i due preti “peace keepers”, probabilmente
informatori/delatori, nella fase investigativa, per poi recitare la parte di supplici/intermediatori per il rilascio.
Naturalmente, tutti i parroci del Veneto, svolgono un ruolo simile occasionalmente, però, per questi due
personaggi, i ruoli sono abbastanza istituzionalizzati.
3 MINISTERIALI, CITTADINI E CAMPAGNOLI, ÉLITE ECONOMICA
Come ho già detto, la scelta di Bassano, come sede di ministeri, ha delle ragioni evidenti, anche di tipo
geografico e logistico, con il vicinissimo confine dell’Alpen Vorland.
Se si considera l’indotto dei vari servizi e dei famigliari, una componente numericamente rilevante rispetto
ai locali, certamente in grado di influire ulteriormente sull’atmosfera socio-politica della comunità,
aumentando, anche esteriormente, il tasso di aderenza al fascismo.
3.1 Fascisti in città, gli antifascisti in campagna
In questo contesto, apparentemente idilliaco, non bisogna sottovalutare un contrasto di ceto sociale ed
insieme politico, tra la comunità cittadina ed anche delle élites presenti nei paesi del circondario, rispetto ad
alcune fasce, più povere e disagiate, della popolazione, che abitano nei paesi della cintura del massiccio del
Grappa o a sud della città.
Saranno i partigiani di queste zone, che sentiranno la difesa del massiccio, come la difesa della propria casa,
resistendo fino alla morte, nessun cittadino, che io sappia, tra di loro.
A questo proposito, non so di un solo bassanese, neanche tra gli impiccati.
Fingere una coesione ed uniformità tra il contado e la comunità cittadina è stata, a mio giudizio, una
operazione ipocrita e blasfema.
CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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3.2 L’élite economica in transizione, il modello Volpi
La loggia P2
Userò spesso questa etichetta, per indicare i gruppi di potere, i mandanti, i quali, nella nostra vicenda,
tenevano le fila degli esecutori, quelli che si “sporcavano le mani”, Andreotti e Lima per intenderci.
In Veneto, personalmente non ho dubbi, il massimo potere era detenuto dal clero, ma, a quell’altissimo
livello, nessun essere mortale può immaginare di poter arrivare.
Volpi rappresenta l’altro grande potentato, l’élite economica, su di lui
qualcosa si riesce ad appurare.
Campione insuperabile di trasformismo, super vip del fascismo,
governatore della Tripolitania, ministro delle finanze ecc.
Nel Gotha della finanza veneta, creatore della SADE, quella del Vajont
ed iniziatore di Porto Marghera.
Nella sua villa di Maser ospita il camerata ed amico Graziani, ministro
della guerra, il cui presidio dei carabinieri è comandato dal tenente
Giarnieri.
Costui, a sua volta, è in collegamento con la brigata partigiana
Matteotti.
Secondo la versione partigiana, da prendere con le pinze, questa
progetta, con il carabiniere, il rapimento dello stesso Volpi, per
ottenere un finanziamento, il colpo non andrà a buon fine.
In ogni caso, Giarnieri ed un gruppo dei suoi carabinieri, passa alla
resistenza e fugge sul monte Grappa.
Il gruppo si batte con onore, durante il rastrellamento e lui, ferito, viene
catturato, torturato ed impiccato.
Nutro il massimo rispetto per l’autentico eroismo e la genuinità ideale
di questa figura, sulla quale non ho alcuna ragione di dubitare.
Invece è impossibile azzardare un giudizio sereno e fondato su un
personaggio astutissimo e navigato come Volpi, quasi certamente in
combutta con il fanatico fascista Graziani, visto che la vicenda si svolge
sotto gli occhi dell’altissimo gerarca.
Di sicuro, Volpi ottiene quanto si è prefisso, finanzia il movimento
partigiano, quanto basta per garantirsi, in cambio, una pagella
immacolata di antifascista, per il dopo guerra.
In questo modo, non sarà troppo disturbato per il suo passato
compromettente, ma potrà riprendere subito, onorato e riverito, la sua
attività imprenditoriale.
A tarpargli le ali, sarà solo l’età avanzata, la malattia.
A coglierne l’eredità è pronto il conte Cini, insieme rappresentano i
vertici dell’alta finanza veneta, sia durante il fascismo che dopo.
Anche il secondo è stato ministro fascista, per esempio si è occupato
personalmente della “ristrutturazione dell’ILVA, ma lo ricordiamo soprattutto al vertice della SADE, nel
dramma del Vajont e poi nel proseguimento dello sviluppo di Porto Marghera, nel dopo guerra.
I nomi delle due blasonate casate, sono immortalati in quelli celebri fondazioni omonime.
Volpi
GIARNIERI
CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
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CAPITOLO 2 2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO
1 LA CHIAMATA ALLE ARMI DELLA RSI E LA RIBELLIONE DEL POPOLO DEL NORD
Grandi, ambasciatore in Inghilterra, si professa il vero, neanche tanto occulto, regista dell’auto-
defenestramento, architettato da Mussolini.
Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, in particolare se il re avesse lasciato nelle sue mani la regia, anziché
affidarsi a Badoglio e secondo la sua versione, c’era una minima speranza di un intervento tempestivo e ben
pianificato, in grado di spiazzare i tedeschi e consegnarsi agli alleati in condizioni molto più vantaggiose.
A prescindere dalla fondatezza degli argomenti che porta, un punto è fuori discussione; la gestione di
quell’interregno, nelle mani di Badoglio non poteva essere più vituperevole.
Cominciando dalla mancata gestione dell’esercito, ancora ben disposto e relativamente integro.
L’abominio assoluto viene raggiunto nella pianificazione della fuga del re, con l’8 settembre.
Come abbiamo già visto nell’introduzione, par. 1.1, “La ribellione dei renitenti alla leva della RSI”, l’esercito
è abbandonato a sé stesso, si consegna e si fa trasportare in massa nei campi di concentramento.
Abbiamo già detto che, con la leva tentata, con scarso successo, dalla RSI, finalmente il popolo italiano si
ribella alla guerra e i giovani si danno alla macchia, andando a costituire, spesso spontaneisticamente e senza
motivazioni particolari, i primi nuclei partigiani.
1.1 La monarchia deve riprendere il controllo politico del nord Italia
La folla di giovani sbandati, alla ricerca di un punto di aggregazione, per proteggersi nella vita alla macchia,
diventa un problema ineludibile anche per il governo monarchico del sud.
Deve mettere un piede sopra quel movimento, se non vuole trovarsi tagliata fuori dal futuro controllo del
nord della nazione, dopo che gli alleati l’avranno liberata.
Abbiamo detto che, paragonando l’Italia ad una società per azioni in bancarotta, Mussolini, l’amministratore
delegato, ha dato le dimissioni, per agevolare un tentativo di concordato fallimentare, pilotato dal vecchio
presidente del consiglio d’amministrazione, il re.
Quest’ultimo, per dare un minimo di credibilità all’operazione, non può far altro che invitare a rientrare nel
consiglio, i vecchi soci esclusi, ovvero i partiti congelati dal fascismo.
Si tratta di uomini ed organizzazioni talvolta logorate e fatiscenti, ormai scollegate dall’opinione pubblica,
oppure, come per i comunisti, decapitate del gruppo dirigente, in parte emigrato e custodito in Russia.
2 CLN
Non è un’impresa facile, non dico riprendere efficienza operativa, ma almeno credibilità.
Con questo obiettivo, viene istituito questo organismo, che proverà a mettere, sotto il suo controllo politico
e militare, tutte queste formazioni partigiane, nate spontaneisticamente.
Anzitutto bisogna scegliere, per il vertice, una figura altamente simbolica, di grande prestigio militare, in
grado di incarnare il miglior spirito combattentistico della prima guerra mondiale.
La scelta cade sul generale Raffaele Cadorna, figlio di Luigi, il comandante che ha trascinato l’esercito italiano
fino alla disfatta di Caporetto.
Oggi la sua immagine è molto criticata e dequalificata in questo senso.
Invece allora, sull’onda della gran cassa combattentistica del ventennio, quel nome è ancora abbastanza
prestigioso ed unificante.
Nello stesso tempo, il figlio Raffaele, è stato abbastanza scaltro ed attento, a non compromettere la sua
immagine, facendosi fagocitare completamente dalla dittatura fascista.
Pertanto, può credibilmente accreditarsi come figura super partes, senza farsi trascinare insieme nel fango.
CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
30
Il suo compito, insieme agli altri rappresentanti delle varie formazioni politiche, è quello di tener sotto
controllo, non solo il fenomeno dell’aggregazione, ma anche la stessa operatività delle formazioni, che si
vanno sviluppando nel nord.
Questa struttura non appare interessata prioritariamente ad affrettare la vittoria, impresa per la quale sa
benissimo di essere pressoché ininfluente, considerando le dimensioni dello scontro in atto.
Nell’ipotesi più ambiziosa, spera di meritarsi, con questo impegno combattentistico, un trattamento meno
punitivo, quando ci sarà la resa dei conti, con gli alleati vincitori.
Senza dubbio, la priorità assoluta è quella di non lasciare spazio politico a forze sovversive, che possano
sbarrargli la strada del ritorno, come, per esempio, quella dei comunisti, ma anche dei repubblicani, che si
manifestano apertamente antimonarchici.
Non si tratta di una astratta contesa, sulla funzionalità delle due istituzioni, ma di un giudizio dirimente sui
misfatti della dittatura fascista, la cui responsabilità viene attribuita, in solido, al re.
Tra coloro che la pensano in questo modo, dobbiamo annoverare Masaccio ed il dettaglio ha un’enorme
importanza, sia per capire il suo pessimo rapporto con il CLN, che la sua eliminazione.
2.1 Una sovrastruttura burocratica, mal digerita dalla base partigiana
Per inquadrare il contesto nel quale deve inserirsi la struttura del CLN, prendo come esempio il caso di
Castelfranco Veneto.
Subito dopo il 25 luglio, i fratelli Sartor, per i cattolici della futura DC, Magoga, per il morente partito cristiano
sociale, i comunisti, con Pietro Bresolin, il partito d’azione, con Bossum e la Franceschini, si incontrano a casa
del socialista Pacifico Guidolin, per concordare un’attività di comunicazione, volta ad accelerare il risveglio di
una coscienza critica, nei confronti dell’esperienza fascista.
Lo stesso gruppo si ritrova dopo l’8 settembre, con l’avvento della RSI, ora deve gestire anche il fenomeno
dell’attività partigiana spontanea, attivata dai bandi di Graziani e dalla conseguente renitenza di massa.
Le due uniche risorse disponibili, per i burocrati del CLN, sono il denaro ed il materiale degli aviolanci.
2.2 La loggia P2 monarchica, in dialogo permanente con le alte sfere del clero e della finanza
Nell’incontro clandestino di Castelfranco Veneto, colpisce la giovanissima età dei futuri leader presenti.
Una caratteristica che si addice ad un ruolo esposto al rischio ed a molti disagi materiali, ma non stiamo certo
parlando di teste pensanti e di figure decisionali.
Un dialogo, molto più importante, si svolge sopra le loro teste, il protagonista principale, il più potente
elettoralmente, non è nemmeno l’élite finanziaria, ma, senza dubbio, il clero.
Dubito fortemente che, qualche indizio di questa altissima sovrastruttura, sia percepibile nel carteggio
burocratico del CLN, che appare sempre arido, noioso, distaccato dall’operatività combattentistica del
momento.
Le risorse finanziarie e la dotazione bellica hanno certamente un’influenza, ma soprattutto sullo sviluppo
privilegiato di una componente partigiana, rispetto ad una meno gradita ideologicamente.
Invece, ad avallare l’attività degli ultimi mesi, ambiziosissima e frenetica, di Perrillo, Carità e Borghese, che
mirano apertamente, addirittura, a ribaltare il fronte negli ultimissimi giorni, bisogna per forza pensare ad un
autorevole ed altissimo imprimatur del clero e dei potentati economici.
Nella stessa ottica, solo questa altissima regia può autorizzare, non un singolo omicidio, ma tutta la serie di
quelli esaminati, mettendo una pietra tombale sui processi e sulla stessa memoria.
2.3 La selezione dei comandanti partigiani
Se l’obiettivo prioritario del CLN è quello di controllare l’evoluzione politica del movimento partigiano, è su
questo fronte che si concentra gran parte della sua attività, fin dall’inizio.
CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
31
Per l’efficienza militare, è prioritario scegliere comandanti tecnicamente preparati, cioè con esperienza di
guerra e di comando, ovvero graduati.
In Veneto c’è una grande disponibilità di alpini spesso reduci dalla ritirata di Russia, in genere molto patrioti,
per nulla sovversivi, come vedremo nel capitolo 2.4, “ALPINI FASCISTI E PARTIGIANI”.
Il governo monarchico teme, come la peste, i cani sciolti, quei soggetti carismatici, come Masaccio ed Adami,
per esempio, restii ad essere condizionati e posti sotto controllo.
3 ALPINI EMISSARI DIRETTI DELLA MONARCHIA
In certi casi, tra gli alpini fedelissimi della monarchia, sembrano apparire dei veri e propri professionisti della
guerra, che hanno un legame minimo o nullo con la base.
Assomigliano piuttosto ai così detti, “consiglieri militari” odierni, che le super potenze inviamo ovunque ci sia
un focolaio di guerra, da tenere sotto controllo, al fine di tutelare i propri interessi strategici.
Il loro rapporto con la base appare pressoché nullo, insomma, appaiono catapultati sul posto dalla monarchia.
3.1 Crestani, comandante del quadrante sud ovest, durante il rastrellamento
Alpino di Bassano, ultrasessantenne, difficile immaginarlo fervente partigiano volontario.
Compare alla ribalta, prima del rastrellamento del Grappa, posto al vertice delle formazioni del quadrante
sud ovest, una figura simile alla sua, Pierotti, comanda quelle del versante sud est.
Del passato di entrambi, si sa poco o nulla, le loro motivazioni ideali sono imperscrutabili, il loro ardore
combattentistico non pervenuto.
Certamente, nella scelta di questi comandanti, ha avuto un peso anche il parere degli alleati, che mantengono
le loro missioni sul massiccio, anche se sono evidenti i sintomi della bocciatura del progetto, di farne una
grande base strategica.
Il suo effettivo comportamento, in quel frangente, è totalmente oscuro, le testimonianze lamentano una
sistematica assenza di istruzioni, di collegamento.
Almeno Pierotti, responsabile del quadrante sud est, cerca di salvare la faccia.
Inscena una specie di resistenza iniziale, brevissima, per poi arrendersi seduta stante.
Anche nel suo caso, sono ben noti i patteggiamenti con i fascisti, ben prima dell’operazione.
Del resto, tutti, nella zona, sapevano in anticipo del pianificato rastrellamento.
In proposito, è illuminante un libro, edito dalla curia di Vicenza, la quale ha ordinato ai suoi parroci di redigere
una memoria dei fatti accaduti durante la resistenza.
In quel frangente, i parroci del circondario del Grappa, con certezza anche don Menegon, per Loria, salirono
in vetta a recuperare i loro fedeli ed a riportarseli a casa in tempo.
Infatti, nel triste elenco degli impiccati, oltre a non esserci nomi di cittadini di Bassano, ci sono quelli di alcuni
semisconosciuti o comunque provenienti da località relativamente lontane.
Ovvero poveri sbandati, probabilmente sprovvisti di un rifugio dove correre in fretta.
3.1.2 Comandante ombra sul Grappa, poi in congedo a Mottinello
Se Crestani non è esistito come comandante sul Grappa, come è potuto sfuggire al rastrellamento, passare
inosservato, un pezzo grosso come lui?
Per non farla lunga con i tanti pettegolezzi, mi limito a citare le testimonianze di due comandanti subalterni
di Masaccio, uno dei quali è Andretta.
Il quale ricatta, dileggia, terrorizza, urlando, la pecorella Crestani, ripetendo, come voce diffusa, come sia
potuto sfuggire all’accerchiamento, per intercessione dell’amico Perrillo.
La cronaca non menziona una qualsiasi reazione difensiva del nostro stratega.
CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO
Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici
32
Per puro caso, rovistando tra le testimonianze, ho scoperto che il nostro personaggio risulta poi domiciliato
a Mottinello, guarda caso ospite del frate Nicolini, quando l’accoppiata Sabadin & Galli, lo riporta sulla scena
come comandante militare della divisione Montegrappa, vedi cap. 2.3, LA POLE POSITION, par. 3.5, Le
divisioni anticomuniste di pianura.
In quel sicuro rifugio, ritrova, a fargli compagnia, Moro, arrestato da Perrillo nell’agosto dello stesso anno,
un mese prima del rastrellamento.
3.1.3 L’infinita gamma dei doppiogiochisti
Nel momento in cui li troviamo accomunati, nello stesso posto ed in una situazione tanto ambigua e
compromettente, è interessante osservarli da vicino per cercare di capire meglio alcune sfumature tipiche,
che distinguono le due figure standard.
É un’esercitazione puramente didattica, una tantum, che può aiutare chi mi legge, a farsi un’idea della
variegatissima fauna umana, di soggetti pseudo partigiani, in frenetica osmosi con l’apparato repressivo
fascista.
Per capirci subito, basta rifarsi alla nostra esperienza quotidiana, per quanto riguarda la lotta alla mafia.
Chi riuscirebbe a catalogare le infinite tipologie, di infiltrati, collaboratori, pentiti ecc. che bazzicano
quell’interfaccia?
Posso sbagliarmi, ma Moro non mi appare banalmente catapultato nel ruolo, come l’”addetto militare”
Crestani.
È un laureato, forse tiene un po’ le distanze, ma si inserisce, fin dall’inizio, nei primi gruppi che si vanno
coagulando, nella zona di Rossano, fianco a fianco del cognato Cocco.
È sposato con una donna dell’élite borghese ed ultra fascista di Bassano.
Cosa induce, un personaggio fortunato e di belle speranze, come lui, a bazzicare il mondo pericoloso e
compromettente dei sovversivi locali, praticamente certo di essere presto scoperto?
Possiamo ipotizzare che, considerata la sua complessa personalità, ci sia stato un momento, in cui ha corso
dei rischi personali, semplicemente spinto da un ideale e non perseguendo un lucido progetto, puramente
opportunistico?
La figura di Crestani appare molto più semplice e meno amletica della sua.
3.1.4 Riappare, partigiano, proiettato al vertice della divisione Montegrappa
Come vedremo in seguito, quando Sabadin & Galli ristrutturano l’organigramma delle formazioni della
pedemontana, lo troviamo, affiancato a Masaccio, catapultato al vertice militare della divisione
Montegrappa, vedi capitolo 2.3: LA POLE POSITION, par. 3.2, “Una rapida e profonda ristrutturazione
dell’apparato militare”.
Nelle fasi preliminari di questa ristrutturazione, riceve a casa sua, a Bassano, i comandanti militari della zona,
compreso Masaccio, come scrive anche Filato.
Crestani, sceglierà il consorzio di Ramon e la “stanza del tino” come ufficio, dove gli fa compagnia la spia
Rocco di MRS e, nell’ultima settimana, il sodale Moro Ermenegildo, tolto, fresco, fresco, dal congelatore di
Mottinello.
Se esce da quella stanza, nessuno lo conosce e lo fa solo per stare alle calcagna di Masaccio, come uno sbirro.
3.1.5 A fianco di Masaccio, nel momento dell’omicidio
È al suo fianco anche domenica 29 Aprile, quando Masaccio va a trattare la resa dei tedeschi, “asserragliati”
nella casa dei Pioti.
Invece Moro Ermenegildo non può essere presente, perché è già installato nella caserma dei suoi camerati
alpini fascisti di Bassano, dalla quale ha già inviato un ordine scritto al subalterno Cocco, esplicitando che
sarà lui (quindi non Masaccio) ad entrare, alla testa dei partigiani, nella città liberata.
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L’ELIMINAZIONE DEI COMANDANTI LAICI ADAMI, CHILESOTTI, MASET, MASACCIO UNO STUDIO DEL CONTESTO

  • 1. L’ELIMINAZIONE DEI COMANDANTI LAICI ADAMI, CHILESOTTI, MASET, MASACCIO UNO STUDIO DEL CONTESTO “ecce deus ramum Lethaeo rore madentem uique soporatum Stygia super utraque quassat tempora, cunctantique natantia lumina soluit. Vix primos inopina quies laxaverat artus, et super incumbens cum puppis parte revulsa cumque gubernaclo liquidas proiecit in undas praecipitem ac socios nequiquam saepe vocantem” Morte di Palinuro (Eneide, libro V) È notte fonda, Enea e compagni, stremati, dormono, solo il giovane Palinuro veglia. Tiene saldamente il timone della nave e gioisce alla visione della terra promessa, ma il dio, ingannevole e crudele, lo addormenta, agitando un ramo intriso di sonnifero, divelle il timone, insieme con la poppa alla quale si è legato e lo precipita nei flutti.
  • 2. Sulla resistenza, si fonda il nostro patto di convivenza civile. Conoscerne e capirne la storia è un obiettivo primario dell’educazione. Non mi rivolgo agli addetti ai lavori, a quelli “che sanno già tutto loro”, vorrei poter parlare ai ragazzi delle scuole superiori Questo è un esperimento pedagogico, una specie di mappa propedeutica, per una ricerca più efficace e selettiva della verità che conta, in una palude infestata dalle cento trappole della faziosità. A fronte di un obiettivo tanto ambizioso, il risultato è sicuramente carente e non privo di errori. Posso solo garantire onestà intellettuale e disponibilità al confronto. Per capire qualcosa, sulla morte di Masaccio, ho scavato in un perimetro ampio, confrontando il suo omicidio con quello di altri tre casi, che mi apparivano simili. Le molte parti mancanti del puzzle, si individuano con più sicurezza. Tutti sappiamo che non bisogna fidarsi completamente delle testimonianze nelle quali, comunque, è facile separare l’enfasi autocelebrativa, l’inganno più insidioso consiste nell’asportazione chirurgica di parti di verità. Il percorso proposto è arduo, per un giovane o un autodidatta, pertanto ritengo consigliabile l’intermediazione di un docente. La statua di Palinuro, riprodotta nella prima pagina, venne commissionata ad Arturo Martini, per onorare il partigiano Masaccio ed è collocata al pianterreno del palazzo del Bo, all’università di Padova, nel "sancta sanctorum" della cultura veneta. Perché un tributo così grande, un privilegio così speciale, riservato solo a lui? Altri comandanti hanno meritato la gloria più di lui, per le imprese militari, altri, per la produzione culturale, lui come educatore, capace di risvegliare ed elevare la coscienza civile, in una grande massa di partigiani e seguaci.
  • 3. Mi occupo di consulenza e divulgazione scientifica, non sono uno storico, né un esperto di cronaca resistenziale, c’era un lavoro da fare, che nessuno ha fatto, ci ho dovuto provare io. Le testimonianze vanno esaminate controluce, considerando l’interesse del narratore, non ho trovato menzogne evidenti, un po’ di enfasi sui propri meriti e qualche dimenticanza sui coprotagonisti più invisi. L’operazione più delicata, è stata quella di definire i contorni della verità asportata. Nella misura in cui, il perimetro del “non detto”, appare abbastanza nitido e preciso, è possibile ricostruire bene il puzzle, con risultati, a mio giudizio, incoraggianti. Poi ho provato ad applicare lo stesso schema, messo a punto per Masaccio, ad altri casi simili, con i risultati che può constatare chi mi legge. Questo libro è nato da un piccolo seme, la storia del partigiano Masaccio, ascoltata in stalla, a filò, sulle ginocchia di mio padre, suo coetaneo, amico ed ammiratore. Mia madre mi raccontava come, nella cameretta dove dormivo, fossero transitati, diverse volte, dei piloti americani, diretti verso il Grappa. Mio padre riteneva, come molti in paese, che lo stesso gruppo dirigente partigiano, fosse il mandante del suo omicidio e rifiutò sempre la tessera di partigiano, offerta a cani e porci. La complicità del vertice appariva confermata proprio dal sistematico insabbiamento del processo; Hannig, unico testimone accusatore, non viene protetto dalle angherie dell’imputato e, poco tempo dopo, pure la sua morte sospetta, viene attribuita ad Andretta. Molti amici di mio padre parlavano di ruberie, lui non negava, ma insisteva che c’era anche ben altro sotto, che bisognava “essere studiai” per capirlo e me lo ripeté per tutta la vita. Rita, nella foto, è l’unica sorella bilaterale di Primo, mia zia, emigrata in Canada, qui in visita in Italia. In quanto moglie di un mio zio paterno, il più vecchio dei fratelli, casa mia era di sua proprietà. Persona molto umile, semplice, affettuosa, solare. Sempre, totalmente, ignorata dalla ‘’loggia P2 resistenziale’’, un fiume in piena se gli chiedevo del fratello, ma guai, anche solo sfiorare il tasto dei ‘’partigiani’’, come desideravo molto.
  • 4. INDICE Par. INDICE Pagina A INTRODUZIONE 6 1 INCOMPATIBILITÀ TRA IDEOLOGIA LAICA E CATTO-COMUNISMO 7 1.1 La ribellione dei renitenti alla leva della RSI 7 1.2 La crescita spontaneistica delle prime formazioni 7 1.3 La direzione politica si legge nel nome della formazione 7 2 IL REGOLAMENTO DI CONTI FINALE 8 2.1 Niente “habeas corpus” 8 2.2 La storia maestra di vita 8 2.3 Un processo solo indiziario, per i mandanti 9 2.4 Cui prodest? 9 3 LA SENTENZA POPOLARE 10 3.1 I traditori e la pista paesana degli arricchimenti ingiustificati 10 4 LA PROSPETTIVA POLITICA E STRATEGICA 11 5 Una prospettiva dall’alto, sopra le minuzie della cronaca 11 6 LA RIPETIBILITÀ MIGLIORA LA VALIDITÀ DI UN MODELLO INTERPRETATIVO 12 CAPITOLO 1 : IDEALI GENUINI ED AMBIGUI DELLA LIBERAZIONE 13 1 PROLOGO 13 1.1 Quali ideali esaltare sulla bandiera? 13 1.2 Una catechesi farlocca 13 1.3 La lotta di liberazione, da cosa? 14 1.4 Libertà democratica e tirannia 14 2 IL VENETO PRIMA DEL FASCISMO 15 2.1 La famiglia patriarcale 15 2.2 La chiesa 15 2.3 Il primo embrione di stato 15 2.4 Venezia si ricorda della terraferma 16 2.5 Con Napoleone, scopre lo stato nazionale moderno 16 2.6 Sotto l’Austria, una sindrome di Stoccolma. 16 3 IL VENETO E MUSSOLINI 17 3.1 Le peculiarità del mondo contadino veneto 17 3.2 La coscienza di patria, germinata sul Grappa 17 3.3 L’epopea degli alpini e la love story con Mussolini 18 3.4 Bassano del Grappa e la divisione Monte Rosa 18 3.5 La sintonia politica tra chiesa e fascismo 18 3.6 La viltà della chiesa 18 3.7 Il compito dei cappellani militari 19 4 GLI IDEALI RAPPRESENTATI NEL CLN 20 4.1 Cattolici 20
  • 5. INDICE Par. INDICE Pagina 4.2 Comunisti 21 4.2.1 Comunisti degli altipiani 21 4.3 Socialisti 21 4.3.1 Socialisti artigiani 22 4.4 Azionisti 23 4.4.1 Il progetto di società di Ugo La Malfa e di Primo Visentin 24 CAPITOLO 2 : PROFILI STANDARD 25 25 CAPITOLO 2.1 : APPARATO REPRESSIVO 25 1 BASSANO DEL GRAPPA, CITTÀ SIMBOLO E PREDILETTA DAL DUCE 25 1.1 Perrillo, il poliziotto che stana la preda 25 1.2 Carità, il poliziotto che la spreme 26 1.2.1 La rieducazione dell’alpino partigiano e cripto fascista, Filato 26 2 KAISER IL GIUDICE 27 2.1 Un raffinato ed intelligente gioco di squadra 27 3 MINISTERIALI, CITTADINI E CAMPAGNOLI, ELITE ECONOMICA 27 3.1 Fascisti in città, gli antifascisti in campagna 27 3.2 L’élite economica in transizione, il modello Volpi 28 CAPITOLO 2.2 : EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO 29 1 LA CHIAMATA ALLE ARMI DELLA RSI E LA RIBELLIONE DEL POPOLO DEL NORD 29 1.1 La monarchia deve riprendere il controllo politico del nord Italia 29 2 CLN 29 2.1 Una sovrastruttura burocratica, mal digerita dalla base partigiana+B59 30 2.2 Una loggia P2 monarchica, in dialogo con le alte sfere del clero e della finanza 30 2.3 La selezione dei comandanti partigiani 30 3 ALPINI EMISSARI DIRETTI DELLA MONARCHIA 31 3.1 Crestani 31 3.1.1 Comandante, assegnato dall’alto, durante il rastrellamento del Grappa 31 3.1.2 Un diverso inquadramento, tra Moro e Crestani? 32 3.1.3 Rimandato in scena dal cattolico Sabadin, appena s’insedia al vertice del CLN 32 3.1.4 A fianco di Masaccio, nel momento dell’omicidio 32 3.1.5 Si contraddice e cambia versione spudoratamente 33 4 MISSIONI DI SPIONAGGIO 33 4.1 Aviolanci 33 4.2 Il denaro 33 4.3 Complotti ed omicidi 34 4.4 Rocco, spia di MRS 34
  • 6. INDICE Par. INDICE Pagina 4.4.1 L'arte di irretire e poi deludere 34 4.4.2 Compito della spia anche organizzare un omicidio 35 4.4.3 Sandro Pasqualetto e l’”excusatio non petita” 35 4.4.4 I committenti di MRS avevano buone ragioni per eliminare Masaccio? 35 5 GALLI, EX SS, COMANDANTE MILITARE DI TUTTA LA RESISTENZA VENETA 36 5.1 Da SS di altissimo rango, a comandante dei partigiani veneti 36 5.2 Un comando centralizzato per la lotta al comunismo 37 5.2.1 La logistica dell’apparato di controllo “partigiano” 37 5.2.2 Dove sono finiti, i collaboratori più diretti di Galli? 38 2 3 CAPITOLO 2.3 : LA POLE POSITION 39 1 LA STRUTTURA DEL CLN, AI TEMPI DI MENEGHETTI 39 1.1 La sostituzione di Meneghetti 39 2 LA GESTIONE DEL CLN di SABADIN 40 2.1 Una mappa didattica 40 fig. 1 Lo schieramento alla pole position (figura) 41 3 LA RISTRUTTURAZIONE 42 3.1 L’impiego del denaro come mezzo di promozione politica 42 3.2 Una rapida e profonda ristrutturazione dell’apparato militare 43 3.3 La riunificazione delle formazioni di pianura in 2 grandi divisioni 43 3.4 Le divisioni comuniste di montagna 43 3.5 Le divisioni anticomuniste di pianura 43 3.6 Masaccio, il ribelle, inglobato nell’ameba 44 CAPITOLO 2.4 : ALPINI FASCISTI E PARTIGIANI 45 1 IL CONTESTO FASCISTA CON L’8 SETTEMBRE 45 1.1 Mussolini, il coniglio nascosto sul Gran Sasso, preso per le orecchie da Hitler 45 1.2 Nel vicentino la X MAS è in affannoso riposizionamento, contro il comunismo 45 1.3 Anche Carità&Perrillo sondano il terreno locale 45 1.4 Gli alpini fascisti di Bassano del Grappa 46 1.5 I fascisti della X MAS, ai funerali di Masaccio 46 2 COMANDANTI PARTIGIANI ALPINI MONARCHICI 47 2.1 L’alpino Moro diventa partigiano 47 2.1.1 Moro, il partigiano perfetto, secondo Perrillo 48 2.1.2 Il partigiano Moro congelato a Mottinello 48 2.1.3 L’ultima settimana si materializza a Ramon 48 3 FILATO 49 3.1 Il suo profilo autografo è nel suo stesso memoriale 49 3.2 Prigioniero della banda Carità, il lavaggio del cervello 49
  • 7. INDICE Par. INDICE Pagina 4 ALPINI EROI PARTIGIANI: CHILESOTTI E MASET 50 CAPITOLO 2.5: PARTIGIANI MONARCHICI E CATTOLICI 51 1 NELLE CAMPAGNE COMANDAVA IL CLERO 51 2 L’ESEMPIO DI CASTELFRANCO VENETO 52 2.1. Gino Sartor 52 2.1.2 Domenico Sartor 52 2.1.3 Anselmi 53 2.1.3.1 Segretaria di Galli, SS e comandante militare di tutta la resistenza veneta 53 3 FARINA E MENEGHIN, ATTORI E NARRATORI UNICI DELL’OMICIDIO DI CHILESOTTI 54 3.1 Farina 54 3.2 Meneghin 55 CAPITOLO 2.6: PARTIGIANI COMUNISTI 56 1 COMUNISTI DEGLI ALTIPIANI 56 1.1 I tutors emiliani 56 1.2 Le divisioni Garemi e Nannini 57 2 COMUNISTI DELLE AREE INDUSTRIALIZZATE DI PIANURA 57 2.1 Il disprezzo del sentimento popolare, con la difesa dei sospetti omicidi 58 2.2 Un compromesso storico ante litteram 58 CAPITOLO 2.7 : PRETI E PEACE KEEPERS 59 1 DON GIUSEPPE MENEGON, INTERLOCUTORE DEL GIUDICE KAISER 59 1.1 I partigiani liberati da Perrillo hanno il microchip incorporato 59 2 PADRE NICOLINI, INTERLOCUTORE DEL POLIZIOTTO PERRILLO 60 2.1 Nell’incendio di Spineda, il frate Nicolini subentra a don Giuseppe 61 CAPITOLO 3 : IL CONTESTO DEI DELITTI, NELLA PEDEMONTANA VENETA 62 1 BASSANO, BASSO VENTRE DELLA GUERRA 62 1.1 La love story tra la città ed il duce 63 2 IL RASTRELLAMENTO DEL GRAPPA 63 2.1 L’enfasi sulla rilevanza strategica del massiccio del Grappa 63 2.2 Un rifugio di fortuna per i renitenti alla leva, almeno sul versante sud 64 2.2.1 Mal diretti o traditi dai comandanti ed eroi isolati, a sud 64 2.3 I comunisti si comportarono con onore 64 3 BASSANO MEDAGLIA D’ORO 64 3.1 Vittime e carnefici, tutti nello stesso calderone, non va mica bene! 65 3.2 De Gasperi, uno spudorato bugiardo e mistificatore 65 3.3 Una medaglia d’oro anche per Sabadin? 66
  • 8. INDICE Par. INDICE Pagina 4 OMICIDI DEI COMANDANTI NON ALLINEATI CON IL CATTO-COMUNISMO 66 4.1 Porzus 66 4.2 Adami 67 4.3 Maset 68 4.4 Chilesotti con Carli e Andreetto 69 4.4.1 Chilesotti , comandante della divisione Ortigara 69 4.4.2 Carli, commissario politico a fianco di Chilesotti 69 4.4.3 Andreetto, “Sergio” 69 4.4.4 La trappola 70 4.5 Masaccio 70 CAPITOLO 4 : OMICIDIO DI CHILESOTTI, CARLI E ANDREETTO (SERGIO) 71 1 UN’EVACUAZIONE SENZA AGGRESSIONI AI FASCISTI 71 1.1 L’uscita di scena indisturbata, del personale dei ministeri e dell’apparato repressivo 71 1.2 La X MAS non fugge, ma si eclissa e ricicla in un territorio amico 71 1.3 La fuga della SS Carità 72 2 FARINA E NALIN, FANNO SCATTARE LA TRAPPOLA 73 2.1 Zaira Meneghin 73 2.2 Farina 73 2.3 Nalin, SS, comandante della sezione di Longa, della banda Carità 74 2.4 IL GRUPPO DI CHILESOTTI 74 2.4.1 Chilesotti 74 2.4.2 Carli 74 2.4.3 Andreetto (Sergio) 75 3 LA TRAPPOLA 75 3.1 La fuga delle SS, il lascia passare è la partigiana Meneghin 75 3.2 Farina, finita la sua missione, scompare 76 4 MORTO CHILESOTTI, FILATO È GIÀ IN SCENA 76 CAPITOLO 5 : OMICIDIO DI MASACCIO 77 1 Uomo di cultura e comunicatore 77 1.1 Il percorso culturale, da “patriota” a “ribelle” 77 2 IL CONTESTODEL DELITTO 78 2.1 Il trasformismo dell’élite: il modello Volpi 78 2.2 Come sono riposizionati gli attori principali, negli ultimi giorni? 78 2.2.1 Dove sta Moro Ermenegildo? 78 2.2.2 Cocco, sale e ridiscende subito, dal Grappa 79 2.2.3 Cocco chiede, invano, di isolare il futuro omicida 79 2.2.4 Cocco, servitore di due padroni 80
  • 9. INDICE Par. INDICE Pagina 2.2.5 Riceve due ordini scritti conflittuali, il primo da Moro ed il secondo da Masaccio 80 2.3 Don Giuseppe Menegon; gli diede un primo avvertimento 81 2.3.1 È il prete che, di fatto, fa scattare la trappola 81 2.3.2 I tedeschi asserragliati? Che esagerazione! 81 2.3.3 Il prete “partigiano”, strumento inconsapevole o complice? 82 2.4 Pasqualetto porta a Poggiana, con la trappola di riserva 82 2.5 La spia Rocco di MRS 83 2.5.1 Il suo torbido rapporto diretto, con l’omicida Andretta 83 2.6 Crestani, enigmatico comandante militare della divisione Monte Grappa 84 2.7 Bossum primo sindaco comunista, avvocato dell’omicida 84 2.8 Anselmi 84 2.9 Sartor Domenico aveva le mani pulite? 85 2.9.1 Protagonista dello sviluppo nel nostro mondo agricolo 85 2.9.2 Troppo giovane per appartenere, materialmente, alla loggia P2 resistenziale 85 2.9.3 IL ruolo del clero 86 CAPITOLO 6 : EPILOGO 87 1 PERCHÉ LA PISTA DELLE RUBERIE È RIMASTA L’UNICA ESPLORATA? 87 1.1 Cui prodest? 87 2 CHE FINE HANNO FATTO I PRINCIPALI ATTORI, ANDANDO PER CATEGORIE? 87 2.1 I fascisti: Borghese & Perrillo & Carità 87 2.1 I militari inviati dalla monarchia: Galli & Moro & Crestani 88 2.2 Sabadin 88 2.4 Don Menegon & padre Nicolini 88 2.5 Farina & Meneghin 89 2.6 Hannig, l’unico testimone del delitto, ucciso misteriosamente 89
  • 10. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 6 A INTRODUZIONE “E tu, onore di carmi Ettore, avrai” Questo lavoro era dedicato inizialmente al partigiano Masaccio ed ho allargato l’orizzonte soprattutto per cercare conferme a quanto andavo scoprendo sulla sua vicenda. Amo il verbo “VIVE”, in voga nel 68, esprime bene la vitalità del sentimento che nutrono per Masaccio i suoi compaesani e l’ho toccato con mano nel 70° anniversario della morte, celebrato a Poggiana. All’ora in cui venne ucciso, sull’imbrunire, una processione laica si è snodata, partendo dalla località dei “Pioti” e percorrendo, a ritroso, il tragitto che lui aveva effettuato, quella sera. La folla era munita di fiaccole e si fermava in alcune tappe, durante le quali veniva proiettato del materiale audiovisivo, utilizzando come sfondo gli edifici stessi del paese. In un centro paese, affollato come ho visto raramente, la celebrazione è proseguita fino a mezzanotte, con canti, recitazioni e proiezione di documenti commemorativi, in un’atmosfera di intensa partecipazione. RIBELLE E PROFETA Laico, ma non mangiapreti, socialista, ma non estremista o comunista, contro la guerra. Artista e cultore di pittura, venendo dal mondo contadino, si trovava bene con gli umili e possedeva il feeling naturale, che gli permetteva di capirli profondamente e di comunicare efficacemente con loro. Allora, una cappa clericale moralistica gravava sulla comunità, invadendo anche l’intimità famigliare, percepita ben più sensibilmente e quotidianamente, di quella della dittatura fascista- La libertà di esprimere il proprio orientamento politico era un lusso riservato ai gran signori. La miseria vera, con il conseguente abbrutimento, era diffusa qui, come e più che altrove; non vigeva la mezzadria, ma una forma di sfruttamento ancora più esasperato. Una forma di ribellione, ben compresa dai compaesani, Masaccio la sperimentò, con successo, andando a trattare con il grande proprietario terriero del paese, appoggiando preliminarmente la pistola sul tavolo. Probabilmente pagò cari questi gesti, alienandosi ogni speranza di avere, dalla sua parte, i ceti abbienti. In realtà era moderato e realista, probabilmente avrebbe aderito al partito d’azione, poi PRI e, il modello di società che aveva in mente, è stato realizzato poi in gran parte del nord Europa. Un punto di arrivo realistico, ma, forse, era quello di partenza troppo arretrato. COMANDANTE CORAGGIOSO E CARISMATICO L'abbattimento del ponte sul Brenta è l’azione di maggior impatto, nella memoria collettiva. Ancora oggi, a Bassano, la fazione cripto fascista, sempre fortissima e viva, denigra quell’azione, alla quale i fascisti reagirono con la fucilazione di tre prigionieri/ostaggi. Fingono di non aver capito il contesto. Gli alleati avevano decretato la necessità strategica di distruggere quel ponte e ci avevano già provato, con la tecnica del bombardamento a tappeto. Quanto fosse catastroficamente impreciso quel sistema, i bassanesi l’avevano verificato con il bombardamento del “ponte nuovo”, fortunatamente più decentrato, rispetto all’abitato. Data l’imprecisione del metodo, gran parte dell’abitato sarebbe stato raso al suolo, con i lutti connessi, fu il CLN che incaricò Masaccio di quella missione. Coraggioso, energico, carismatico, aveva molte virtù del bravo comandante, ma nessuna esperienza tecnica. Se Primo Visentin ha avuto il privilegio esclusivo di essere onorato nel tempio della cultura veneta, la ragione risiede tutta nel valore culturale e pedagogico della sua missione. Fu maestro di vita e di cultura per una grande massa di giovani, scolasticamente semianalfabeti e culturalmente primitivi, il cui orizzonte esistenziale era fisicamente ristretto e soffocante. Da questa scuola di massa resistenziale, uscirono i quadri più innovativi, della nuova classe dirigente.
  • 11. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 7 1 INCOMPATIBILITÀ TRA L’IDEOLOGIA LAICA E CATTO-COMUNISMO Dopo l’8 settembre vigeva una sola regola: salvarsi la pelle! Il problema non era tanto come affrontare il nemico in quel momento, ma cosa fare dopo, in caso di successo. Senza un minimo di organizzazione, abbandonati dai comandanti, cosa potevano improvvisare? Nei rari casi di valorosa reazione, penso a Corfù, c’era qualche requisito minimo; una armamento ed una struttura di comando integra e motivata, un contesto strategico che offriva qualche speranza minima. Chi poteva cercò di ritornare a casa, molti altri scelsero, anche se più numerosi e meglio armati, di arrendersi in massa ad esigui gruppi di tedeschi. Il fenomeno spontaneistico, della formazione delle prime bande partigiane, inizia poco dopo, quando la RSI comincia a pubblicare i primi bandi di leva, accompagnati dalle temute minacce del generale Graziani. 1.1 La ribellione dei renitenti alla leva Il crollo di tutti i miti del fascismo è ben rappresentato da Mussolini stesso, che si è vilmente consegnato al re, come suole fare l’amministratore delegato di una società che punta al concordato fallimentare e rimette il mandato al presidente. Rincuorato prigioniero sul Gran Sasso, certamente non gioì, quando Hitler venne a riprenderselo, per le orecchie, come un coniglio e lo reinsediò al timone della sua nave, che affondava inesorabilmente. La RSI era un governo fantoccio, impotente ed umiliato, in tutti i modi, dall’alleato, anche per la mancanza di un vero esercito, che Graziani, ministro della guerra, tentò disperatamente di ricostruire, con successo quasi nullo, tranne la significativa eccezione del corpo degli alpini, come vedremo. È stato il rifiuto di tornare a combattere, la leva obbligatoria, che fece scappare di casa i giovanissimi renitenti, che andarono a popolare le prime formazioni partigiane. In quel momento, erano soprattutto i ventenni, ovvero gli unici figli rimasti ancora in famiglia, i loro fratelli maggiori, erano internati in Germania. Il popolo italiano comincia finalmente a disobbedire in massa, ripudiando la guerra, perciò questi giovani trovano l’incoraggiamento delle famiglie e della comunità. 1.2 La crescita spontaneistica delle prime formazioni La massa dei ventenni cercò e trovò un nucleo di aggregazione, spesso attorno a qualche personaggio più maturo e con le idee più chiare sul da farsi, una guida, un fratello maggiore più esperto, che poi divenne naturalmente il loro primo comandante. In questo senso i quattro personaggi, oggetto del mio studio, sono tutti molto carismatici, hanno superato tutti i 30 anni, ma hanno anche qualche altra qualità importante. Alcuni, come Chilesotti e Maset, vantano una significativa esperienza militare, in posizioni di comando. Altri, come Adami e Masaccio, hanno un brillante curriculum di studi, ma anche un elevato livello intellettuale, un maturo orientamento ideologico. 1.3 La direzione politica si legge nel nome della formazione Inizialmente, per favorire la coesione del gruppo, quasi sempre viene proclamata formalmente l’apoliticità, ma, ovviamente, l’orientamento politico emerge inevitabilmente, prima o poi. Di solito, l’orientamento politico del capo, si rivela nel nome scelto, quello di un personaggio simbolico, che rappresenta particolari valori ideali. L’importanza di questa scelta inziale, emerge nel tempo, quando il gruppo deve rivendicare una sua identità politica, quindi soprattutto verso la fine, nella fase che io chiamo della “pole position”. Fanno eccezione i comunisti, che l’ostentano fin dall’inizio, senza alcun pudore o titubanza, glielo impone l’ideologia abbracciata. I cattolici e gli altri vecchi partiti, sopravvissuti al fascismo, usano metodi più felpati.
  • 12. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 8 Solo nel 45, con l’avvento di Sabadin alla guida del CLN, i cattolici cominciano anche loro a marchiare il gregge, con metodi molto convincenti, come l’uso del denaro, ci provano anche con l’ostinato, apolitico, Masaccio. Come lui, resistono all’immatricolazione forzata, gran parte dei futuri aderenti al partito d’azione. 2 IL REGOLAMENTO DI CONTI FINALE Se paragoniamo, l’intera pianura padana ad un ad una pancia, dobbiamo immaginare che, tutto il putridume della guerra, “merda e sangue”, rappresentato dalle armate tedesche in ritirata, dovette convogliarsi e comprimersi nella sacca di Bassano, per trovare poi la via ed evacuare attraverso l’unico, strettissimo, pertugio della Valsugana. Nel basso ventre nazionale, sulla sponda destra del Brenta, troviamo, concentrato e pronto alla fuga, tutto l’apparato repressivo fascista nazionale, la Banda Carità, la X MAS, l’apparato investigativo locale di Perrillo. Non sono confluiti qui per puro caso, ma per una pianificazione che risale almeno a qualche mese prima. Per esempio, quel contesto strategico e sociale, è considerato ideale da Borghese, X MAS, che ha scelto Thiene come comando della sua unità. Quanto fosse favorevole ed amichevole, quella comunità, per i fascisti, pare confermarlo il fatto che, a quanto mi risulta, non sono noti regolamenti di conto eclatanti, contro di loro. Al contrario, proprio in quel momento fatidico ed in quella stessa area, è avvenuta la decapitazione del comando della divisione Ortigara, su una sponda del Brenta e della Montegrappa, sull’altra. 2.1 Niente “habeas corpus” Si è soliti invocare il giudizio della magistratura, come ultimativo e più attendibile, perché si dovrebbe basare solo su riscontri oggettivi, non su semplici indizi. Penso che non sarebbe stato difficile reperire prove oggettive nell’immediato dopo guerra, quando i testimoni erano viventi e la scena del delitto non ancora alterata. Cercarle oggi mi pare del tutto velleitario. Dovendoci accontentare dei soli indizi, l’atteggiamento omertoso e renitente nelle indagini, l’assunzione della difesa degli imputati, da parte del gruppo dirigente partigiano, mi pare il più eloquente di tutti. In quel periodo, complice il ministro della giustizia, il comunista Togliatti, la più sfacciata manipolazione dei processi fu piuttosto la regola che l’eccezione. In questo contesto di connivenza e di patteggiamenti sottobanco, è assolutamente verosimile e probabile che, per quanto riguarda il Veneto, cattolici e comunisti abbiano attuato un tacito patto di reciproca disattenzione, sui misfatti altrui. I giovani, che non hanno conosciuto l’estrema disinvoltura morale e politica di uomini come Togliatti ed Andreotti, faranno fatica a capire questa complicità, tra due mondi che volevano apparire tanto radicalmente avversi. In realtà, le due ideologie competevano direttamente sullo stesso “target di mercato”, con un “prodotto” molto simile, cioè la promessa di un mondo miracolosamente migliore. In termini di cinismo e disinvoltura tattica, Stalin era andato a scuola dai Gesuiti, lui ed i suoi pupilli, erano solo dei rozzi principianti, rispetto alla bimillenaria maestria dell’istituzione vaticana. 2.2 La storia maestra di vita La magistratura, convinta di poter inchiodare Andreotti, per il reato di collusione con la mafia, ingaggiò una sfida folle, ostinatamente convinta di poter trovare l’”habeas corpus”. Come fu possibile tale folle presunzione? Era arcinota la diabolica astuzia di Andreotti-Beelzebub. Davvero costui sarebbe stato tanto sventato, da farsi cogliere in flagrante, "mentre baciava Reina"?
  • 13. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 9 La storia ha metodi ed obiettivi diversi dalla magistratura e può permettersi di procedere anche senza l’"habeas corpus", infatti, per definizione, non è una scienza esatta. Questo non comporta che i suoi insegnamenti siano meno preziosi di quelli di una magistratura inconcludente. La commissione d’inchiesta parlamentare dimostrò una verità politica e cioè che, quando Andreotti governava a Roma, il suo luogotenente Lima era il punto di riferimento indiscusso per la mafia. Questa semplice regola è validata da un corollario; lo stesso fenomeno si replica ogni volta che, a Palazzo Chigi, cambia il padrone. Una conclusione che non basta per portare in prigione questo o quel politico, ma, dalla cui solida base, bisogna per forza partire, per provare a riformare il sistema. 2.3 Un processo solo indiziario, per i mandanti In tutti i quattro casi esaminati, non sono mancati elementi e testimoni, contro i sospetti autori degli omicidi. Vox populi, vox dei: nel caso di Masaccio, l’identificazione di Andretta era plateale. Non mancava nemmeno un testimone attendibile, Hannig, presente sul posto e ferito dalla stessa arma che aveva ucciso Primo. Sono agli atti le ripetute intimidazioni di Andretta, per indurlo a ritrattare, conclusesi con la sua eliminazione! In questa successione spudorata di connivenze delinquenziali con il vertice, Il sospetto pluriomicida conservò addirittura il suo posto di comandante! Chissà se, riaprendo il processo oggi, un giudice potrebbe ribaltare il verdetto, io lo dubito. Sicuramente, se si ritrovassero le carte, vizi di forma e di sostanza dovrebbero essere sovrabbondanti, ma la manomissione delle prove deve essere stata troppo pesante, per trovare ancora elementi utili. Viceversa, la serie di complicità nelle manomissioni, da parte del gruppo dirigente, rimane plateale, inconfutabile, soprattutto oggi, che rifiuta, ostinatamente, qualsiasi tipo di confronto sul tema. 2.4 Cui prodest? Cercando il movente, bisogna definire un profilo dei protagonisti ed il contesto, in modo che, da una prospettiva a giusta distanza, emerga più nitida la narrazione dei fatti, nella versione elaborata dagli studiosi della cronaca, che io assumo sufficientemente attendibile, per il livello di attendibilità che mi serve. A questo scopo, è cruciale rappresentare gli interessi e gli obiettivi degli attori principali sulla scena: l’attivismo frenetico dei fascisti, Perrillo, Carità Borghese, l’osmosi con le infinite tipologie di partigiani. Ho cercato di rappresentare sinteticamente la grande e nascosta diversità del profilo di molti sé dicenti partigiani, come gli alpini&patrioti Maset, da un lato o di quelli cripto fascisti, come Moro e Filato. Oppure la varietà di figure cattoliche nella loro sintonia con un clero potentissimo, come l’ubiquo Farina, scaltrissimo e disinvolto, contrapposto all’ascetico ed integerrimo idealista Chilesotti. Questi schemi didattici aiutano molto a distinguere i pupazzi sulla scena da chi ne tiene le fila. Confrontando l’esito di casi simili, si scoprono interessanti ripetitività, come la regola, molto efficace, che, coloro che si sono “sporcate le mani”, vengono tolti subito dalla scena. Un’altra pista affidabile, per rintracciare scambi di favori inconfessabili, di livello medio-basso, è data dagli arricchimenti improvvisi ed ingiustificati. Viceversa, chi tiene le fila, come è certamente vero per il potentissimo clero e per l’élite economica, non verrà mai, neanche lontanamente, sfiorato dai sospetti.
  • 14. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 10 3 LA SENTENZA POPOLARE Questa è la foto della prima commemorazione dell’omicidio, durante il discorso di Moro (suppongo sia lui, ma non cambierebbe molto se si fosse fatto sostituire). Sottraete ai presenti il numero di forestieri comandati, arrivati con due camion e la corriera ed avrete una percezione del sentimento popolare, nella commemorazione di un compaesano ammirato ed amatissimo. Trovo emblematica la disposizione circolare dei soldati, che riecheggia una ritualità romana, ma qui appare quasi a protezione dell’oratore da una folla ostile, che lo snobba e passeggia nei paraggi. Per personale conoscenza, Moro, colui che usurpò il posto di Masaccio, fu sempre odiato dalla stragrande maggioranza dei compaesani, che avessero una minima idea di chi fosse. Mio padre rifiutò sempre, indignato, di assistere a queste celebrazioni, non volle neanche sentir parlare della tessera di partigiano, che, nel dopo guerra, venne offerta, a cani e porci. Una tessera, nuova, fiammante, me la esibì un parente fascista, che ostentò la camicia nera, fino alla penultima settimana di guerra, il quale, guarda caso, era uno dei pochi paesani ammesso nel ristretto circolo degli amici paesani di Moro. Quest’ultimo si eclissò presto già nel 45, rientrando nell’esercito, dove venne premiato con una sfavillante carriera, andando in pensione come generale. 3.1 I traditori e la pista paesana degli arricchimenti ingiustificati Nato nel 47, perfino un bambino poteva notare i segni evidenti di una frattura, che separava nettamente la cricca, dei “traditori”, dal resto della comunità locale e questa proseguiva poi anche oltre oceano, tra i nostri emigrati. Bastava seguire le tracce, abbastanza evidenti, degli arricchimenti improvvisi ed ingiustificati. I miei compaesani non sapevano quasi nulla sui vertici del movimento partigiano, molti non immaginavano chi fossero i big, che ruotavano attorno a Masaccio, negli ultimi giorni. Parlando con loro, mi apparivano abbastanza ignari del contesto politico, figuriamoci cosa potevano intravedere degli eventuali complotti. II feeling tra Ermenegildo Moro ed il paese
  • 15. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 11 L’unica chiave di lettura, a loro disposizione, rimaneva quindi quella delle ruberie più appariscenti. Inevitabilmente, su questo filone, si è concentrata avidamente tutta l’abbondante memorialistica. 4 LA PROSPETTIVA POLITICA E STRATEGICA Il quadro dello scontro ideologico e politico in Veneto è complesso, forse ancora più ambiguo che in altre regioni, la doppiezza di Arlecchino è forse la più spiccata peculiarità della nostra “personalità standard”. Cercando di arrivare all’essenza, possiamo dire che esistono due fenomeni ben distinti, i quali interagiscono con effetti complicati e che disorienterebbero anche il navigatore più smaliziato; insomma navighiamo in una palude di pescecani, che sembrano eleganti delfini. Il mondo contadino è caratterizzato da un rapporto originale con il padronato e con il clero, sulle cui basi, trova tutt’ora una sintesi perfetta nel feeling con gli alpini. Su questa base si può comprendere la profonda, spontanea, intesa del Veneto con il fascismo; le sue radici sono sane e vigorose anche oggi. Con la rivoluzione comunista in Russia, Chiesa, élite economica e contadini piccoli proprietari, trovarono una forte coesione contro il nemico comune incombente. Proprio per questo appare sorprendente, inconcepibile, che, per esempio, il primo capo del CLN veneto, Marchesi, sia stato uno dei massimi esponenti nazionali del PCI, addirittura stalinista ed estremista, uno che, durante la rivolta ungherese, si scaglierà contro Kruscev per il suo lassismo. Impossibile immaginare un soggetto più autoritario, illiberale, antitetico ai valori della resistenza. Per capire il contesto, bisogna tener presente, come abbiamo già visto la profonda affinità ideologica e la compatibilità dei metodi tattici, tra il PCI ed il Vaticano. Lo si vede subito, appena Togliatti torna dal collegio di papà Stalin e se la intende subito e benissimo, con la monarchia ed il vaticano, con il capolavoro tattico del patto di Salerno. Alla fine della guerra, tale intesa, sotterranea, regista il cattolico Sabadin, consentirà, di portare a termine, l’eliminazione dei quattro comandanti laici, senza una sbavatura sinergica. 5 Una prospettiva dall’alto, sopra le minuzie della cronaca Qualunque memorialistica necessita di una revisione critica; se non mente spudoratamente, almeno sorvolerà sulle parti a lui sfavorevoli, calcando le tinte in quelle che gli fanno fare bella figura. Apprezzo il faticoso lavoro di alcuni storici locali, i quali hanno svolto un meritorio lavoro di comparazione ed integrazione di tutte le narrazioni parallele della stessa vicenda. Tralasciando le minuzie cavillose, in generale la sequenza meccanica sintetizzata da questi studiosi, mi pare attendibile quanto basta, per andare ad approfondire il senso della storia. Tuttavia, il soldatino di Napoleone, immerso nel caos furioso della battaglia, non sarebbe neanche in grado di distinguere i commilitoni dai nemici, se, il solerte generale, non gli avesse fatto indossare una sgargiante divisa. Figuriamoci quanto confuso, inaffidabile, incompleto, sarebbe il suo resoconto della battaglia. Napoleone, che osserva la battaglia sopra un colle, non si cura di tanti dettagli, ma capisce meglio cos’è successo, il perché ed il per come.
  • 16. CAPITOLO A: INTRODUZIONE Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 12 6 LA RIPETIBILITÀ MIGLIORA LA VALIDITÀ DI UN MODELLO INTERPRETATIVO La storia non è una scienza esatta, non può ambire alla meravigliosa precisione della fisica di Einstein: E=MC2 . Questa aspirazione non è astratta, è banalmente impedita dall’insuperabile complessità dei modelli. Per esempio, si può schematizzare il prevedibile comportamento dell’uomo? Quindi il modello interpretativo di uno storico, specie se autodidatta come me è senz’altro soggetto ad un grande margine d’errore. Tuttavia, possiamo misurare e ridurre l’incertezza del suo funzionamento, andando a verificarne la predittività in diversi casi, reputati, a prima vista, molto simili. Questo approccio è paragonabile a quello adottato per le scienze sperimentali, che ricorrono alla statistica per misurare il margine di errore di una determinata stima effettuata su un campione inadeguato di dati.
  • 17. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 13 CAPITOLO 1: IDEALI AUTENTICI ED AMBIGUI, DELLA LIBERAZIONE 1 PROLOGO La liberazione fu anche una guerra politica tra le fazioni partigiane, aspra, ma molto sotterranea ed ambigua. La catechesi storica mascherò, sotto cerotti disposti maldestramente, ferite purulente, perché mai pulite e disinfettate. Sopra queste piaghe, ancora putrescenti, ci pavoneggiamo con la nostra bianca camicia della democrazia. 1.1 Quali ideali esaltare sulla bandiera? Nato nel dopoguerra, mi rimbomba ancora nelle orecchie la triade ‘’DIO, PATRIA, FAMIGLIA’’, ho sempre pensato che fosse uno slogan creato ad hoc dal fascismo ed in perfetta sintonia anche con i valori della chiesa. Invece avrei immaginato che Mazzini, repubblicano e mangiapreti, avesse fatto sua quella della rivoluzione francese ‘’LIBERTÉ, EGALITÉ, FRATERNITÉ’’, sorprende quel dio al primo posto, certo non è quello dell’odiato papa di Roma. L’élite culturale italiana, soprattutto fino alla scomparsa dell’analfabetismo, è piena di intellettuali come lui, altezzosi e paternalisti, che proclamavano di amare il popolo, ma guardandolo sempre dall’alto verso il basso. Immagino che, sotto sotto, Mazzini non si fidasse affatto del libero arbitrio della plebe e, d’altra parte, vista l’esperienza della rivoluzione francese, come dargli torto? 1.2 Una catechesi farlocca Catechesi = Kata (verso il basso) + Echeo (eco)= Far risuonare verso il basso La chiesa e le élites culturali attribuivano, alla massa semianalfabeta, la capacità di apprendimento di un animale da circo e come tale la trattavano. Nella loro lontananza e presunzione, si sbagliavano; i partigiani ‘’ignoranti’’, che ho conosciuto io, avevano idee semplici, ma molto più chiare e vicine all’essenza, di tanti pensosi ed inarrivabili intellettuali, che ho sprecato tanto tempo a decrittare. La verità è che spesso il discepolo trova oscuro il sapiente solo perché ha la vista corta, ma, qualche volta, è il maestro che sceglie di essere oscuro, per esempio quando l’ambiguità e la complessità espositiva servono a mascherare omissioni e menzogne. Questo tipo di putridume impregna una buona parte della letteratura sulla resistenza, su entrambi i fronti. I ventenni partigiani, contadini e semianalfabeti, entravano nelle formazioni partigiane, ancora ciechi, di fronte alle grandi prospettive ideali. Solo comandanti, come Masaccio ed Adami, grandi comunicatori, immersi nel mondo degli umili, avevano il dono di saper accorciare le distanze e lo fecero molto bene, tanto che, i loro partigiani rischiavano di sfuggire LIBERTE FRATERNITE EGALITE RESISTENZA Ideali della rivoluzione francese e della libera- zione, adottati anche dai comunisti di Stalin DIO PATRIA FAMIGLIA FASCISMO Ideali di Mazzini, repubblicano ed anticlericale, ma adottati anche da fascisti e clero
  • 18. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 14 al controllo di chi proclamava gli stessi ideali ad alta voce, ma era ben determinato a contenerli il più possibile e furono eliminati. In questo gioco degli inganni, nel gruppo dirigente partigiano veneto, prevalsero i valori del Mazzini paternalista, ma autoritario, cioè di quelli che io definisco i catto-comunisti e vennero ripudiati quelli più sovversivi della rivoluzione francese. Se si prende alla lettera la predicazione delle due ideologie politiche, si può immaginare un’incompatibilità insormontabile tra di loro. Niente di più ingannevole, chiesa e comunismo erano concorrenti spietati, proprio perché si contendevano lo stesso ‘’target’’, ma condividevano nel metodo, il massimo cinismo tattico ed il verticismo più assoluto. 1.3 La lotta di liberazione, da cosa? Dalla dittatura fascista, per approdare alla libertà democratica… Nessuno dei partigiani, che ho conosciuto, avrebbe dato, non dico la vita, ma neanche un’ora, per questo obiettivo, molto fumoso per loro, che avevano ben altre priorità esistenziali, come, per esempio, mangiare tutti i giorni. Anche da noi qualcuno si è bevuto un po’ di ‘’purgante’’, ma non percepivano così opprimente l’apparato repressivo fascista. Rimasero sempre diffidenti verso il regime democratico, subito invischiato nelle piaghe dell’inefficienza, del clientelismo e della corruzione. I partigiani della mia zona, ventenni, renitenti alla leva della RSI, volevano liberarsi dall’obbligo di andare a morire per il duce. Questa è una motivazione di basso profilo, che certamente non piace ai predicatori ufficiali, che sproloquiano sul tema il 25 aprile. Se li può consolare, una piccola componente volava più in alto e sentiva l’importanza di accelerare la fuga dell’ex alleato tedesco. Tutti erano perfettamente consapevoli delle scarse risorse disponibili e, quindi, del modesto contributo militare che potevano offrire. 1.4 Libertà democratica e tirannia Se l’ideale di libertà di espressione e di scelta democratica fosse stato davvero l’obiettivo principale della resistenza, quanti partigiani, in tutta Europa, si sentirono beffati? Quale tipo di libertà si ritrovarono i comunisti dell’est? Dopo tanto tempo, l’Italia è lacerata, in due fazioni contrapposte, che litigano perennemente sugli ipotetici vantaggi del nostro sistema democratico, rispetto alla dittatura fascista. L’unico punto in cui le parti si sono avvicinate è tutto formale, ipocrita; anche i ‘’cripto fascisti’’ accettano che non sia più ‘’politically correct’’ l’esplicita apologia del fascismo. Testardamente arroccata sul metodo catechistico, la fazione resistenziale insiste a starnazzare, sempre più forte, le stesse frasi fatte. Non si avvedono che, i risultati pratici, dimostrano quanto sia sterile e controproducente. I dogmi non hanno mai giovato all’umanità: la verità è che non si tratta di scegliere tra bianco e nero, ma tra infinite sfumature di grigio. Personalmente rinuncerei volentieri ad una parte del mio libero arbitrio, in cambio di uno stato meno azzeccagarbugli, cioè più onesto ed efficiente. Mi conforta la pagina di Tucidide, nella quale, da un lato illustra i pregi della democrazia, dall’altra ne segnala limiti e difetti. Socrate venne condannato a morte dall’Atene democratica, poco dopo, quella del dittatore Pericle, raggiunse il suo massimo splendore.
  • 19. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 15 2 IL VENETO PRIMA DEL FASCISMO 2.1 La famiglia patriarcale La triade di Mazzini e della chiesa mi è rimbombata nelle orecchie durante tutta la mia infanzia, mi rappresenta bene il mondo ideale contadino. Invece, quella della rivoluzione francese, più compatibile con i valori della resistenza, l’ho scoperta uscendo dal microcosmo paesano. In questa struttura arcaica, composta da vari clan famigliari, magari ulteriormente imparentati tra di loro, i nostri antenati veneti hanno affinato la loro attitudine alla convivenza, per circa tre millenni, cioè da quando sono arrivati qui dalla Paflagonia. Si è disintegrata bruscamente nel dopo guerra, quando, le migliori opportunità di reddito, permisero il rapido prevalere della famiglia nucleare. Questo eccezionale spirito comunitario, certamente piaceva moltissimo al duce, che voleva trasformare l’Italia in una caserma. 2.2 La chiesa Il parroco era l’incarnazione dell’autorità, sia religiosa che civile, cioè si faceva carico anche dei compiti tipici dello stato assistenziale moderno. Il clero era onnipresente, indispensabile ed invasivo insieme, in tutte le fasi salienti della vita, però non al punto da soppiantare del tutto un nucleo minimo di autonomia autoctona della cultura famigliare. Per esempio, provate a verificare con qualche esperto, i santuari dedicati alla Madonna, sono quasi sempre collocati presso un luogo tipico, un colle, una sorgente, posti nei quali i nostri antenati praticavano un antichissimo culto alla nostra dea madre, Reita. La chiesa cattolica ha lottato, con scarsissimo successo e per secoli, per imporre la sostituzione con quello ortodosso, cristiano. La sfida era dura ed aperta ancora ai tempi di Giuseppe Sarto, mi riferisco ad un fenomeno ben documentato anche nella nostra zona, sia per il santuario delle Cendrole, che per quello di Godego. Concludendo, senza l’aperto e deciso sostegno del clero, il duce mai avrebbe potuto indurci ad una guerra di aggressione, contro nemici inventati. 2.3 Il primo embrione di stato Il nostro popolo era costituito da due categorie ben distinte: gli allevatori e contadini ed i navigatori e commercianti. I primi si sparpagliarono in un territorio vasto e molto più ostile di oggi, quindi solo in piccola parte adatto all’agricoltura, il resto al pascolo e quindi all’allevamento. Gli altri scelsero i loro porti sui fiumi, non sul mare, per ragioni tecniche, ma trafficavano fino alla terra d’origine, nel medio oriente. I contadini/allevatori si raccoglievano in comunità molto piccole e disperse, sicuramente poverissime, i commercianti in nuclei molto più ricchi ed importanti, come a Padova e ad Este. Si può parlare di struttura statale solo per queste città, sempre gelose della propria indipendenza, in uno schema di città stato. Tutti abbiamo sempre avuto una nomea di popolo poco bellicoso, ma molto aperto agli scambi, quindi non troppo geloso della propria autonomia. I romani non ci hanno conquistato con la guerra, tantomeno civilizzato, come un’altra catechesi, spudoratamente farlocca, ci continua a predicare. Sono stati chiamati da queste due città, per dirimere una loro controversia.
  • 20. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 16 2.4 Venezia scopre la terraferma Due millenni e mezzo dopo essere arrivati qui, in campagna mantenevamo, pressappoco, lo stile di vita inziale, al contrario di Venezia che era arrivata dove sappiamo. La nostra fortuna furono proprio le sue prime disfatte nello scontro con i turchi e la scoperta dell’America. I veneziani furono costretti a cercare altre forme di investimento, per i loro ingentissimi capitali e le trovarono anche nel nostro territorio. Si può parlare sicuramente di capitalismo illuminato, che comportò grandi benefici per i miserabili contadini, che avevano la fortuna di risiedere presso le loro sontuose ville, dove, grazie al servizio offerto ai padroni, trovavano di che sfamarsi, sopravvivendo così alle frequenti carestie. Fu benefico e provvidenziale anche perché promosse vere e proprie attività imprenditoriali, come quella del baco da seta e non bisogna dimenticare le grandiose opere di ristrutturazione dei corsi d’acqua, che hanno messo in sicurezza e valorizzato ampie zone, prima insicure ed impraticabili. 2.5 Con Napoleone, il Veneto scopre lo stato nazionale moderno Questa esperienza di uno stato paternalista, poco esoso con le tasse, rafforzò nei veneti, un atteggiamento costruttivo verso l’autorità centrale, ci pensò il genocida a traumatizzarli, facendo loro scoprire l’esosa oppressione fiscale dello stato nazionale moderno. Fino a quel momento, i modesti costi delle opere pubbliche locali, un tutt’uno con quelle della parrocchia, venivano gestite da un ‘’mariga’’. Napoleone, per prima cosa, sottrasse l’anagrafe al parroco, che divenne la prima attività svolta da una nuova istituzione statale: il comune. In questo modo si assicurò un controllo capillare dei redditi, base indispensabile per una tassazione di rapina, mai sperimentata prima. Nello stesso tempo, impose la leva obbligatoria, che, nei momenti peggiori, arrivò a durare fino a 18 anni. Senza dilungarci sulle sofferenze morali, che questo obbligo comportava per il soggetto e per la famiglia, il danno economico dovuto al furto di una risorsa produttiva preziosa, congiunto al feroce prelievo fiscale, ridussero alla miseria una grande moltitudine di famiglie. Cominciò in quel momento, il doloroso fenomeno dell’emigrazione di massa dei veneti, cessato solo da qualche decennio. L’esperienza dello stato nazionale fu dunque molto traumatica e negativa, in zona avvenne anche un’inedita sommossa armata, in quel frangente! Le cose non andarono certo meglio in seguito, né con l’Austria, né con l’Italia. 2.6 Sotto l’Austria, una sindrome di Stoccolma. Gli austriaci mantennero e rafforzarono la struttura fiscale creata da Napoleone. A Riese, il padre del futuro papa, non faceva semplicemente il messo comunale, come narra la leggenda. In effetti, operava alle dipendenze dell’esattore delle tasse di Castelfranco Veneto, nella cui casa, lo studente Giuseppe, era accolto come un figlio e pernottava abitualmente al bisogno. A Riese, la stessa casa del papa fu sede temporanea della nuova istituzione comunale, ovvero dell’anagrafe. L’atteggiamento, sempre spiccatamente filoaustriaco del papa, va contestualizzato anche a questa esperienza famigliare. Mi sorprende il fatto che, molti veneti si proclamino ammiratori dell’Austria e guardino con nostalgia a quel periodo, aspetto sempre di apprendere quali aspetti positivi abbia comportato per noi. Finora, non ho trovato nella storiografia, voci discordanti rispetto all’evidenza che il Lombardo Veneto rappresentava le due mucche più produttive da mungere per l’apparato fiscale, in grado di dilazionare così il collasso del debito statale. http://bit.ly/GIUSEPPE-SARTO-CHI
  • 21. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 17 3 IL VENETO E MUSSOLINI Il popolo veneto si identifica molto con il corpo degli alpini, è la nostra bandiera. Non è un mistero che, una sua importante componente, rivendica orgogliosamente la sua passata vicinanza al fascismo. Il Veneto, la vandea bianca, che ha votato in massa DC e poi la Lega, non nasconde affatto la sua nostalgia per il duce. Questo amore, mai sopito, dimostra bene quanto le prediche resistenziali siano sempre state controproducenti e fallimentari. 3.1 Le peculiarità del nostro mondo contadino In Veneto era più diffusa la proprietà privata, oppure anche la mezzadria ed altri tipi di rapporto ancora più oppressivi, ma i nostri contadini si sentivano, sempre e comunque, fieramente padroni a casa propria. Nelle regioni rosse, come l’Emilia, era più diffuso il proletariato; proprietari della prole e di nient’altro, servi, braccianti. Quando il comunismo predicava l’abolizione della proprietà privata, ha trovato da noi i suoi nemici più acerrimi, anche tra i più poveri contadini. Della mediazione sociale con i proprietari terrieri, si faceva carico il parroco, leader carismatico della comunità, anche in questi frangenti. Le cooperative rosse, delle altre regioni, da noi erano bianche e agguerrite. A Castion di Loria ci fu uno scontro molto duro con un proprietario terriero, le redini della trattativa le tenne, strette nelle sue mani, lo stesso Pio X. In quei frangenti, fece una brillante carriera il giovane sindacalista Sabadin, personaggio chiave della vicenda resistenziale, futuro capo del CLN. 3.2 La coscienza di patria germinata sul Grappa Prima dell’arrivo di Napoleone, i veneziani usavano i mercenari per le loro guerre, gli slavi, ‘’schiavoni’’. Se i veneti non hanno mai vantato virtù belliche, si può immaginare quanto dolorosa sia stata l’imposizione di combattere, conto terzi, nelle terribili guerre che si inventò quel mostro genocida, che giocava le sue partite a scacchi, disponendo di una massa gigantesca, perché gratuita, di soldati. Da questo punto di vista, la situazione non cambiò in meglio, con la prima guerra mondiale. Sul Carso, un vero e proprio suicidio di massa, venne imposto a migliaia di giovani, ignorantissimi, completamente avulsi dal sentimento di patria. Venne caparbiamente replicato, per diversi giorni di seguito, imposto dalle armi dei carabinieri, puntate alle loro spalle. Sul Grappa, il combattente veneto in particolare, poteva vedere il proprio paese, percepiva fisicamente il significato della guerra di difesa ed il concetto di patria era ben rappresentato dalla vista del suo campanile. 3.3 L’epopea degli alpini e la love story con Mussolini Il mito di questo corpo parte da lontano e si salda alla scoperta dello sport alpinistico, nel 18° secolo. Il soldato alpino assomma il fascino dell’ardimentoso sportivo, che vince le vette inviolate, alla tempra del combattente, che protegge la neonata nazione italiana dalle mire del perfido austriaco, il quale occhieggia dietro le cime, tramando per riconquistarla. Mussolini coltiva il mito di questo corpo, enfatizzandone il ruolo sul Grappa, un modello perfetto per il suo esercito di ‘’otto milioni di baionette’’. I veneti sono anche i protagonisti dell’epopea della bonifica delle paludi pontine, altro importantissimo fiore all’occhiello del regime.
  • 22. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 18 3.4 Bassano del Grappa e la divisione Monte Rosa La RSI aveva a Bassano e nel suo circondario, luogo prediletto e fidatissimo, diversi uffici governativi e ministeri. Graziani scelse la città, sede della famosa caserma alpina Monte Grappa, anche per l’arruolamento degli alpini fascisti della divisione Monte Rosa, l’unico successo ottenuto, nel suo fallimentare tentativo di ricostituire un esercito nazionale, sotto l’egida della RSI. La quale aveva un disperato bisogno di dare un minimo di dignità militare al suo ruolo, ormai inesorabilmente relegato a quello di fantoccio dell’alleato nazista. Questa divisione, stanziata prevalentemente sul fronte francese, finì piuttosto per operare nella repressione antipartigiana, dimostrando un’incontestabile e ricambiata ferocia. I due ‘’cripto fascisti’’ alpini e finti partigiani, Moro e Filato, attesero nella locale caserma della RSI, luogo sicuro per loro, il momento fatidico per entrare in scena, come liberatori della città, al posto dei due grandi comandanti, Masaccio e Chilesotti, uccisi nel contempo. 3.5 La sintonia politica tra chiesa e fascismo La chiesa del nostro compaesano Pio X, costantemente minacciata nei propri privilegi e nel potere temporale, era sopravvissuta, molto malconcia, alla sfida contro lo stato nazionale risorgimentale. Dopo la morte di questo papa, con il trionfo della rivoluzione comunista in Russia, l’attacco divenne a tutto campo e mortale e metteva in discussione direttamente il suo magistero e la sua stessa esistenza. La minaccia comunista terrorizzava anche un’élite di nobili e di benestanti, ma, in Veneto, anche i poverissimi ‘’proprietari’’ contadini, più ferocemente ostili di tutti, al sovvertimento sociale ed all’abolizione della proprietà privata. La saldatura tra ideali religiosi e la difesa dei valori fondanti della nostra cultura contadina, fu e rimase sempre monolitica. 3.6 La viltà della chiesa Mussolini sapeva benissimo di non avere alcuna chanche di indurci in una qualsiasi delle sue folli guerre di aggressione. Doveva assicurarsi l’appoggio imprescindibile della chiesa e disponeva di una carta formidabile: un nemico mortale comune, il comunismo. Quindi ottenne un matrimonio, dove l’interesse era tacitamente condiviso a priori, il concordato solo l’anello nuziale, posto a carico dei posteri. Finché l’ometto recitava la sua parte di smargiasso, il silenzio nervoso della chiesa non appare intollerabilmente scandaloso. Però, quando, il folle mentecatto, cominciò a fare sul serio, dichiarando una serie di guerre di aggressione, l’una più demenziale ed ingiustificata dell’altra, praticamente a tutto il mondo civilizzato, la reticenza del vaticano appare gravissima, scandalosa, imperdonabile. ALPINI FASCISTI: LA DIVISIONE MONTE ROSA
  • 23. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 19 Esiste una certa letteratura che mira a confondere le persone semplici ed enfatizza il dissenso del papa, di questo e di quell’altro cardinale, sussurrato a qualche discreto orecchio. Sarebbe come se, i primi martiri della chiesa, fossero soliti radunarsi nel profondo delle catacombe, per bisbigliare la loro fede ed il dissenso dall’autorità centrale, invece di proclamarla in pubblico, di fronte al magistrato romano. 3.7 Il compito dei cappellani militari Questi preti erano integrati nell’esercito, equiparati agli altri ufficiali, che potevano rimpiazzare anche negli scontri, in caso di emergenza. Senza la loro rassicurazione sul campo, è inimmaginabile, che i nostri padri, avrebbero accettato di andare a uccidere od a morire. Secondo la catechesi inculcata dal parroco, solo una guerra di difesa, come sul monte Grappa, poteva, forse, non comportare la condanna all’inferno. Però, tutte le guerre, dichiarate da Mussolini, furono di evidentissima, folle ed ingiustificata aggressione. Dunque, fare violenza, assolutamente ingiustificata, ad uno sconosciuto, con lo scopo esplicito di ucciderlo, era sicuramente un peccato mortale. Rischiare di morire, in quell’atto e con quella colpa, significava la certezza assoluta di filare dritti all’inferno. Nessun dubbio quindi, senza il cappellano militare che impartiva loro i sacramenti, neanche le armi dei carabinieri, puntate alla loro schiena, avrebbero costretto i soldati veneti ad andare a morire per il duce. Neanche alla fine della guerra, la chiesa recitò mai uno spontaneo, sacrosanto e doveroso "mea culpa’’. Nel 1965, il profeta don Milani, convinto che fosse giunto il momento per scuoterne la coscienza, ingaggiò una dura battaglia per far eliminare questa istituzione. La gerarchia non dimostrò un particolare turbamento, ovviamente non accondiscese, anzi il ribelle fu punito, annichilito.
  • 24. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 20 4 GLI IDEALI RAPPRESENTATI NEL CLN 4.1 Cattolici Abbiamo già incontrato Sabadin, giovanissimo ai tempi di Pio X , brillante sindacalista e politico, poi capo del CLN, negli ultimi mesi della guerra. Il CLN è un’emanazione della monarchia, che risuscita i simulacri di qualche partito prefascista, giusto per darsi un tocco di legame con il popolo. Naturale che costituisca più che altro un intralcio, per l’autonomia operativa dei partigiani; Masaccio ne parla sempre male. Il peggio lo dà alla fine, quando dispone di un bel po’ di denaro, in quel momento Sabadin prende il comando, al posto del socialista Meneghetti. Utilizza questo strumento, insieme con quello dei lanci, gestiti direttamente da MRS, per lusingare questa formazione partigiana e castigare quell’altra, bravissimo a sedurre e poi a rifiutare, come solo le grandissime puttane sanno fare. Inutile specificare che, i sedotti ed abbandonati, sono quasi sempre gli stessi, i comunisti, ma anche il ribelle Masaccio. I suoi valori, ‘’DIO, PATRIA’’FAMIGLIA’’, si discostano così poco da quelli del fascismo, che ci vuole il microscopio per scoprire la differenza. In realtà la discriminante è semplice, chiara e collima con il committente, la monarchia: il rifiuto all’alleanza con il nazismo, una questione strategica. Anticomunista ed irredentista, rifiuta sdegnosamente di chiamare i suoi seguaci ‘’partigiani’’, termine usato dagli odiati comunisti iugoslavi. Nazionalista, militarista, esalta l’epopea della prima guerra mondiale, non vuole renitenti sbandati tra le sue file, preferisce i militari di provata affidabilità e li chiama ‘’patrioti’’. CATTOLICI DIO PATRIA FAMIGLIA Sabadin SOCIALISTI LIBERTE FRATERNITE EGALITE Meneghetti COMUNISTI EGALITE Marchesi P. D’AZIONE LIBERTE FRATERNITE EGALITE Masaccio
  • 25. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 21 4.2 Comunisti Marchesi è il fondatore e primo capo del CLN veneto, il massimo dirigente comunista rimasto sulla piazza, scelto dal partito per questo ruolo, proprio perché il più idoneo a rimanere in circolazione, letteralmente, in mezzo ai vertici del fascismo. Tutti gli altri, se non stanno in prigione, o sotto le amorevoli ali di mamma chioccia, Stalin. Illustre accademico, giura fedeltà al fascismo, per poter conservare la cattedra, su suggerimento dello stesso partito. Dunque un raffinato e colto signore, certamente più a suo agio nei salotti alto borghesi, che nelle fabbriche polverose e puzzolenti. Tra gli intimi della stessa regina, è lui che, a nome del partito, garantisce la monarchia che non ci saranno scioperi o disordini, durante quella rappresentazione teatrale, che, io mi permetto di definire, l’auto ‘’defenestrazione’’ di Mussolini. Non è affatto un illuminato tollerante, lontano anni luce dagli ideali della liberazione! Più stalinista di Stalin, si scaglia contro Kruscev, troppo molle, secondo lui, durante la rivolta d’Ungheria. L’8 settembre lo scopriamo rettore all’università di Padova, nominato dal governo Badoglio, ma viene prontamente riconfermato dalla RSI. In quei momenti, viene scelto alla guida del CLN veneto e si ecclissa dopo un mese, trascorrerà il resto del tempo della guerra in Svizzera. Per quanto riguarda la triade di ideali della rivoluzione francese, i comunisti hanno cancellato quelli di ‘’fraternità’’ e ‘’libertà’’, in nome dell’unico obiettivo prioritario, al quale sacrificare tutto: la conquista del potere. L’uguaglianza è solo una promessa, un’auspicata conseguenza, che si potrà avverare, abbiamo visto come… Stalin è andato a scuola dai gesuiti, della cultura cattolica ha pienamente assimilato il millenario cinismo e la spregiudicatezza tattica, con la quale anche il partito comunista italiano si muoverà dopo la guerra, emulato e superato in questo, solo dalla DC di Andreotti. 4.2.1 Comunisti degli altipiani Le località in cui vivevano allora erano molto più isolate di adesso, diversamente non si capirebbe come potessero sopravvivere questi nuclei, così apertamente sovversivi e sfuggire alle “bonifiche” dell’apparato repressivo fascista. 4.3 Socialisti Meneghetti è preside di farmacologia, pupillo di Marchesi all’università di Padova, che, dopo la sua fuga, sostituisce alla guida del CLN. Sotto la sua direzione, il comitato, come un simpatico club di pensionati, si riunisce, sempre nello stesso luogo, la confortevole villa clinica dell’amico dott. Palmieri, sulla stessa strada che, partendo dal centro, conduce anche alla villa, dove ha la tana, la famigerata banda Carità. Nel gennaio del 45, viene catturato con tutto il gruppo, lo sostituisce il democristiano Sabadin, che sta scalpitando da mesi per succedergli. Non viene torturato e lo stesso, premuroso, Sabadin proclamerà, nelle sue memorie, di aver trattato invano, con i fascisti, la sua liberazione. Gli ideali dei socialisti, come Meneghetti, sono ben rappresentati dalla triade della rivoluzione francese ed erano abbastanza diffusi solo ad un certo livello, per esempio, tra i professori dell’università di Padova. Si trattava di gruppi molto indipendenti ed individualisti, dove predominava un idealismo, vago, velleitario, spesso pragmaticamente sterile, che condanna al caos ed all’insuccesso, gran parte dei loro esperimenti concreti.
  • 26. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 22 Uomini come Meneghetti, se sono stati cooptati nel CLN dalla monarchia, non possono, di sicuro, brillare per vivacità ed eroismo combattentistico. Per contrasto, accanto a lui, brilla la luminosa figura di Trentin, grande intellettuale, la cui voluminosa produzione libraria è liberamente accessibile al pubblico, nella biblioteca di Jesolo. La sua statura di grande intellettuale non lo allontana dall’azione rischiosa, un soggetto simile non può certo sfuggire all’occhiuto Carità, che, infatti, lo incarcera quasi subito, lo tortura duramente, non come fa con Meneghetti, morirà poco dopo, all’ospedale Un grandissimo socialista è Adami, che affianca Masaccio nella mia ricerca, il quale raggruppa presto una sua formazione, a Valdobbiadene, però, arrivano subito anche gli emiliani, che impongono di unificare le formazioni e lo relegano ad un ruolo di interfaccia con la popolazione locale. Grande comunicatore, con grande carisma e seguito, è del tutto inadatto alla competizione per il potere. La sua convivenza con i capi comunisti emiliani è ormai deteriorata, quando viene ucciso a tradimento, da due ‘’partigiani’’, chiaramente identificati dalla gente del luogo e, come sempre, nel momento in cui gli ultimi tedeschi abbandonano al zona. 4.3.1 Socialisti artigiani Nei paesi più grandi, dove sono sufficientemente numerosi, si riuniscono in organizzazioni culturali e filantropiche che assumono anche un certo impegno antifascista, ma, però non arrivano mai al livello di un’organizzazione militare. L’apparato repressivo ha buon gioco nell’identificarli e controllare i gruppi, castigando i singoli, le teste più calde. Manterranno un ruolo molto significativo anche nel dopo guerra, coltivando una grande originalità ed autonomia di pensiero, una concreta attività filantropica, preziosa nel Veneto campagnolo, spesso abbruttito dalla miseria materiale e spirituale. Trentin
  • 27. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 23 4.4 Azionisti Non sta scritto, nero su bianco, che Masaccio fosse un azionista, ma ci sono molti indizi che lo lasciano pensare. Per la sua importanza, l’ho collocato accanto ai tre rappresentanti dei partiti chiamati a far parte del CLN, istituzione che egli giudicava, correttamente, una longa manus del governo monarchico e degli alleati, creata per controllare e condizionare l’attività della sua formazione, piuttosto che per sostenerla e così, sfacciatamente, fu. Orfano, viene allevato, da piccolo, in un collegio/orfanatrofio, tenuto da un prete e patriota, che si era fatto onore come informatore per gli italiani, nel periodo in cui il suo paese, sul Piave, era occupato dagli austriaci. Quindi riceve una formazione, cattolica e fascista insieme, al 100%. Però, brillante studente, già durante l’adolescenza, amplia i suoi orizzonti culturali e prende le distanze dagli aspetti più oscurantisti del nostro contado. Non per questo diventerà mai un fanatico, mangiapreti o comunista. Degasperi TogliattiLa Malfa Masaccio
  • 28. CAPITOLO 1: IDEALI Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 24 Impone l’apoliticità nella sua formazione, inizialmente invocata unanimemente da tutti, per non compromettere lo spirito di affiatamento del gruppo. Al contrario, Sabadin, appena impadronito del denaro, che comincia ad arrivare più abbondante dal CLN, lo usa per forzarlo ad aderire alla futura DC. Siamo nella fase che chiamo della ‘’pole position’’ bisogna piazzarsi, alle imminenti elezioni, nelle posizioni più vantaggiose per il proprio partito. Masaccio non solo gli oppone un netto rifiuto, ma lo proclama con enfasi. Con questo gesto, secondo me, firma ufficialmente la sua condanna a morte. Nei suoi scritti ci sono evidenze della sua vicinanza agli ideali della rivoluzione francese, ragion per cui molti preferiscono collocarlo tra i socialisti. E’ abbastanza sicuro che, anche tatticamente, rimase lontano dai comunisti/sindacalisti, ai quali rubò addirittura il mestiere, intervenendo, con successo clamoroso, in alcune trattative della zona, sia con due aziende industriali, che con un proprietario terriero. E’ inspiegabile diversamente, il prezzo altissimo, in termini di impopolarità, che si assunsero scegliendo il loro uomo bandiera, Bossum, per l’impopolare difesa del suo omicida. É enorme, scontato e fuor di dubbio, il vantaggio elettorale, che trasse dalla sua morte, la DC di Sartor. 4.4.1 Il progetto di società di Ugo La Malfa e di Primo Visentin Ho votato il partito repubblicano di La Malfa, erede del partito d’azione, durante tutti gli anni in cui era lui alla guida del partito. Una personalità leggendaria ed unica nella storia politica italiana, chi osa mettere in discussione la sua proverbiale onestà e competenza? Il suo partito ebbe sempre scarso consenso, penso a causa del suo aristocratico disprezzo, per ogni forma di demagogia e di clientelismo. Solo grazie al suo grande carisma, la formazione mantenne sempre un rilievo straordinario, nella vita politica italiana. Penso che, La Malfa, come Masaccio, avessero in mente un modello molto preciso, concreto, realistico e fattibile di società. Dunque niente affatto un sogno velleitario, dato che è realizzato, largamente diffuso, da molto tempo, nel nord Europa. Invece, purtroppo, il nostro stivale affonda nel mediterraneo e condivide, più o meno, le tare tipiche dei paesi che vi si affacciano. ‘’Ogni popolo ha il governo che si merita’’, diceva un mio carissimo professore. Intendeva dire che la gente deve imparare a non aspettarsi i miracoli da una classe dirigente che, fatalmente, rispecchia i suoi stessi vizi. Come mai, con le stesse leggi, lo stesso governo, più o meno le stesse risorse, il nord del paese progredisce diversamente dal sud? Già, ma questo è un argomento tabù, secondo la catechesi ipocrita vigente.
  • 29. CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 25 2 PROFILI STANDARD La scena che dobbiamo studiare pullula di figure dal contorno molto variegato, che è molto rozzo definire banalmente partigiani o fascisti. Se dovessimo tentare un ritratto individuale, anche limitandoci all’essenza, saremmo estenuati e disorientati dalla folla di varianti. Per fortuna è possibile riconoscere un’ottima ripetibilità anche nelle differenti tipologie, come per esempio se ci riferiamo ai partigiani alpini fascisti della divisione Monte Rosa, oppure agli strettissimi parenti, che però non hanno aderito alla RSI. Questa faticosa classificazione inziale, snellisce molto la narrazione successiva, dal punto di vista propedeutico e didattico. Infatti, per lo scopo dell’analisi di un fenomeno ripetitivo, tale classificazione si rivela, a mio giudizio, efficiente quanto basta, senza dover aggiungere, ogni volta, troppe, ulteriori, annotazioni. 2.1 APPARATO REPRESSIVO 1 BASSANO DEL GRAPPA, CITTÀ SIMBOLO E PREDILETTA DAL DUCE Nel cap. 1, IDEALI GENUINI ED AMBIGUI DELLA LIBERAZIONE, mi sono già soffermato sul feeling tra il mondo contadino ed il duce, che raggiunge l’apoteosi nel mondo degli alpini. In questo quadro, Bassano è sacralizzata, come città simbolo del riscatto militare, contro il nemico invasore. Da questa consacrazione discendono, tra l’altro, benefici concreti per la comunità, premiata con l’insediamento di alcune importanti industrie, indotte ad insediarsi in zona, un grande privilegio economico. Questo feeling si concretizza, dopo l’8 settembre, con la scelta di collocarvi la sede di alcuni ministeri e per l’arruolamento degli alpini aderenti alla RSI. La strettoia della Valsugana porta rapidamente al nuovo confine dell’Alpen Vorland, territorio italiano annesso brutalmente alla Germania, senza chiedere alcun permesso. Bassano diventa, geograficamente, la Chiasso del nazifascismo, un punto strategico per fuggire, nel caso di una disfatta militare. 1.1 Perrillo, il poliziotto che stana la preda Con queste premesse, è scontato che, non solo la città, ma anche il suo circondario, sia stato scelto per installare alcuni ministeri od altri uffici governativi. In una comunità cittadina tanto amichevole, l’apparato repressivo può operare con grande efficienza e monitorare sinergicamente le potenziali sacche sovversive. L’apparato investigativo è costituito da SS, le quali, come regola, sono di nazionalità mista italo- tedesca. Il personaggio carismatico, deus ex machina, è senz’altro l’inquisitore Perrillo, abilissimo segugio, che fiuta immediatamente il sovversivo Perrillo
  • 30. CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 26 Masaccio, attivo, fin dai primi giorni, dopo l’8 settembre. Non riesce a catturarlo, ma porta in prigione la sua sorella di secondo letto ed il “padrone del paese” Antonio Piva”. Comincia subito un teatrino, che si replicherà fino alla fine della guerra, con don Giuseppe Menegon che intercede per i prigionieri catturati da Perrillo, strapazzati da Carità e spediti al giudice Kaiser. Uno schema bastone & carota, molto ripetitivo, sul quale mi diffonderò più avanti, parlando di questo prete, nel capitolo 2.7, PRETI E PEACE KEEPERS. Se don Giuseppe è specializzato nell’interlocuzione con Kaiser, un altro religioso, padre Niccolini è il mediatore con Perrillo. 1.2 Carità, il poliziotto che la spreme Questo è l’apparato che deve spaventare la preda, più la sua crudeltà terrorizza il circondario e più rapido ed efficiente il suo lavoro. Per assurdo, la sua celebre perversione sadica, potrebbe rappresentare una scelta tattica molto razionale ed addirittura “umanitaria”. Nel senso che, l’alone di terrore che lo circonda, verosimilmente accelera la confessione, evitando di fatto un eccesso inutile di sofferenze alla vittima. Non dimentichiamo che, anche in questo caso, si tratta di un’altra specializzazione di SS, nella quale è prevista anche la compresenza dei tedeschi. Vedremo come Carità, quando serve, sappia operare con grande finezza psicologica e modi relativamente blandi, penso alla “rieducazione” di Filato e al soggiorno, relativamente tranquillo, di Meneghetti. 1.2.1 La rieducazione dell’alpino, partigiano e cripto fascista, Filato Alpino, graduato, emerge, tra gli altri comandanti, anche grazie all’esplicita sponsorizzazione del CLN, soprattutto con l’avvento del cattolico Sabadin. Perrillo lo esamina negli ultimi mesi di guerra, dubito fortemente a causa della sua pericolosità di partigiano. In un suo memoriale, che mi pare piuttosto sincero, si stupisce egli stesso di averla fatta franca molte volte, quando amici e subalterni sono stati presto catturati. Siamo vicini alla fine della guerra, in quella che io definisco la fase della “pole position”. Perrillo & Carità, si stanno attivando freneticamente, per tentare un rovesciamento di fronte, invitando a collaborare anche i partigiani, ora che i nazisti stanno per essere sconfitti, contro la minaccia comunista. Il poliziotto segugio lo passa a Carità, che non lo maltratta, tanto quanto lascerebbe supporre la brutta fama. Viene inizialmente e blandamente terrorizzato, poi subisce pressioni psicologiche per passare dalla parte fascista. Carità osa quella estrema, passare alla guida di una formazione, che sta organizzando, costituita soprattutto da ex partigiani pentiti come lui, che vuole specializzare proprio nella repressione anti partigiana. La proposta non indigna Filato più di tanto, il quale si limita ad una controproposta interlocutoria; passare sì alla RSI, come i suoi commilitoni alpini fascisti della caserma locale, però con la garanzia di non operare in zona, contro i suoi conoscenti o ex subalterni, ma in Piemonte. È ancora prigioniero di Carità, fino agli ultimi giorni, ma non precisa la data/ora esatta del rilascio. Di sicuro, il 27/4 è libero, quando Carità abbandona la sede e va ad incontrare la colonna militare, la quale, sbrigato il compito di fucilare Chilesotti e compagni, lo porterà in salvo, oltre confine, con Perrillo. Sappiamo che Filato, quella sera, è a Bassano del Grappa, al sicuro, nella caserma dei commilitoni alpini fascisti, insieme con Moro, pronti tutti e due, i redivivi, a guidare la sfilata dei partigiani, al posto dei due comandanti appena uccisi.
  • 31. CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 27 2 KAISER IL GIUDICE Rappresenta il terzo stadio del sistema: Perrillo stana il sovversivo, Carità lo fa cantare, lui giudica. La sua giurisdizione comprende tutta l’area veneta a nord di Padova, dove ha sede. Mentre i primi due sono più sensibili al controllo socio-politico del territorio, per conto della RSI, lui è più concentrato sull’efficienza dell’apparato bellico nazista, per esempio, si preoccupa soprattutto dei sabotaggi. La prima preda importante, che gli viene consegnata da Carità, è il prete don Giuseppe Menegon, reo di aver protetto e sfamato, nascosti sopra il campanile di Loria, un gruppo di renitenti alla leva. Don Giuseppe favoleggia su quell’incontro, parlando della sua magnetica personalità, che plagia l’ingenuo teutone e di come tale scenetta si replichi spesso, fino alla fine della guerra. Noto il super io istrionico di don Giuseppe, bisogna dare per scontato un elevato grado di millanteria. Per questo chiamo i preti come lui “peace keepers”, mediano queste situazioni di tensione tra le parti, bastone & carota, a tutto vantaggio dell’occupante. Mi occuperò di don Giuseppe nel cap. 2.7 PRETI E PEACE KEEPERS. 2.1 Un raffinato ed intelligente gioco di squadra Il controllo del territorio è così capillare ed efficiente che l’investigazione di Perrillo, l’interrogatorio di Carità ed il giudizio di Kaiser, possono essere gestiti con spregiudicata sinergia. Perrillo spia, Carità bastona, Kaiser ammonisce, per porgere poi la carota accattivante al pentito. Non c’è dubbio che il trio opera con grande successo in questo senso, mantenendo un clima di relativo consenso, o, quanto meno, non fomentando un odio controproducente nella popolazione. La sgradevole verità è che la popolazione è così poco ostile ai nazifascisti, che la delazione è usuale, facilmente agevolata da un minimo compenso, ma non manca, tra la popolazione, anche chi informa per puro opportunismo servile, senza un mercanteggiamento prima. In questo schema, operano in modo raffinato, anche i due preti “peace keepers”, probabilmente informatori/delatori, nella fase investigativa, per poi recitare la parte di supplici/intermediatori per il rilascio. Naturalmente, tutti i parroci del Veneto, svolgono un ruolo simile occasionalmente, però, per questi due personaggi, i ruoli sono abbastanza istituzionalizzati. 3 MINISTERIALI, CITTADINI E CAMPAGNOLI, ÉLITE ECONOMICA Come ho già detto, la scelta di Bassano, come sede di ministeri, ha delle ragioni evidenti, anche di tipo geografico e logistico, con il vicinissimo confine dell’Alpen Vorland. Se si considera l’indotto dei vari servizi e dei famigliari, una componente numericamente rilevante rispetto ai locali, certamente in grado di influire ulteriormente sull’atmosfera socio-politica della comunità, aumentando, anche esteriormente, il tasso di aderenza al fascismo. 3.1 Fascisti in città, gli antifascisti in campagna In questo contesto, apparentemente idilliaco, non bisogna sottovalutare un contrasto di ceto sociale ed insieme politico, tra la comunità cittadina ed anche delle élites presenti nei paesi del circondario, rispetto ad alcune fasce, più povere e disagiate, della popolazione, che abitano nei paesi della cintura del massiccio del Grappa o a sud della città. Saranno i partigiani di queste zone, che sentiranno la difesa del massiccio, come la difesa della propria casa, resistendo fino alla morte, nessun cittadino, che io sappia, tra di loro. A questo proposito, non so di un solo bassanese, neanche tra gli impiccati. Fingere una coesione ed uniformità tra il contado e la comunità cittadina è stata, a mio giudizio, una operazione ipocrita e blasfema.
  • 32. CAPITOLO 2.1: APPARATO REPRESSIVO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 28 3.2 L’élite economica in transizione, il modello Volpi La loggia P2 Userò spesso questa etichetta, per indicare i gruppi di potere, i mandanti, i quali, nella nostra vicenda, tenevano le fila degli esecutori, quelli che si “sporcavano le mani”, Andreotti e Lima per intenderci. In Veneto, personalmente non ho dubbi, il massimo potere era detenuto dal clero, ma, a quell’altissimo livello, nessun essere mortale può immaginare di poter arrivare. Volpi rappresenta l’altro grande potentato, l’élite economica, su di lui qualcosa si riesce ad appurare. Campione insuperabile di trasformismo, super vip del fascismo, governatore della Tripolitania, ministro delle finanze ecc. Nel Gotha della finanza veneta, creatore della SADE, quella del Vajont ed iniziatore di Porto Marghera. Nella sua villa di Maser ospita il camerata ed amico Graziani, ministro della guerra, il cui presidio dei carabinieri è comandato dal tenente Giarnieri. Costui, a sua volta, è in collegamento con la brigata partigiana Matteotti. Secondo la versione partigiana, da prendere con le pinze, questa progetta, con il carabiniere, il rapimento dello stesso Volpi, per ottenere un finanziamento, il colpo non andrà a buon fine. In ogni caso, Giarnieri ed un gruppo dei suoi carabinieri, passa alla resistenza e fugge sul monte Grappa. Il gruppo si batte con onore, durante il rastrellamento e lui, ferito, viene catturato, torturato ed impiccato. Nutro il massimo rispetto per l’autentico eroismo e la genuinità ideale di questa figura, sulla quale non ho alcuna ragione di dubitare. Invece è impossibile azzardare un giudizio sereno e fondato su un personaggio astutissimo e navigato come Volpi, quasi certamente in combutta con il fanatico fascista Graziani, visto che la vicenda si svolge sotto gli occhi dell’altissimo gerarca. Di sicuro, Volpi ottiene quanto si è prefisso, finanzia il movimento partigiano, quanto basta per garantirsi, in cambio, una pagella immacolata di antifascista, per il dopo guerra. In questo modo, non sarà troppo disturbato per il suo passato compromettente, ma potrà riprendere subito, onorato e riverito, la sua attività imprenditoriale. A tarpargli le ali, sarà solo l’età avanzata, la malattia. A coglierne l’eredità è pronto il conte Cini, insieme rappresentano i vertici dell’alta finanza veneta, sia durante il fascismo che dopo. Anche il secondo è stato ministro fascista, per esempio si è occupato personalmente della “ristrutturazione dell’ILVA, ma lo ricordiamo soprattutto al vertice della SADE, nel dramma del Vajont e poi nel proseguimento dello sviluppo di Porto Marghera, nel dopo guerra. I nomi delle due blasonate casate, sono immortalati in quelli celebri fondazioni omonime. Volpi GIARNIERI
  • 33. CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 29 CAPITOLO 2 2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO 1 LA CHIAMATA ALLE ARMI DELLA RSI E LA RIBELLIONE DEL POPOLO DEL NORD Grandi, ambasciatore in Inghilterra, si professa il vero, neanche tanto occulto, regista dell’auto- defenestramento, architettato da Mussolini. Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, in particolare se il re avesse lasciato nelle sue mani la regia, anziché affidarsi a Badoglio e secondo la sua versione, c’era una minima speranza di un intervento tempestivo e ben pianificato, in grado di spiazzare i tedeschi e consegnarsi agli alleati in condizioni molto più vantaggiose. A prescindere dalla fondatezza degli argomenti che porta, un punto è fuori discussione; la gestione di quell’interregno, nelle mani di Badoglio non poteva essere più vituperevole. Cominciando dalla mancata gestione dell’esercito, ancora ben disposto e relativamente integro. L’abominio assoluto viene raggiunto nella pianificazione della fuga del re, con l’8 settembre. Come abbiamo già visto nell’introduzione, par. 1.1, “La ribellione dei renitenti alla leva della RSI”, l’esercito è abbandonato a sé stesso, si consegna e si fa trasportare in massa nei campi di concentramento. Abbiamo già detto che, con la leva tentata, con scarso successo, dalla RSI, finalmente il popolo italiano si ribella alla guerra e i giovani si danno alla macchia, andando a costituire, spesso spontaneisticamente e senza motivazioni particolari, i primi nuclei partigiani. 1.1 La monarchia deve riprendere il controllo politico del nord Italia La folla di giovani sbandati, alla ricerca di un punto di aggregazione, per proteggersi nella vita alla macchia, diventa un problema ineludibile anche per il governo monarchico del sud. Deve mettere un piede sopra quel movimento, se non vuole trovarsi tagliata fuori dal futuro controllo del nord della nazione, dopo che gli alleati l’avranno liberata. Abbiamo detto che, paragonando l’Italia ad una società per azioni in bancarotta, Mussolini, l’amministratore delegato, ha dato le dimissioni, per agevolare un tentativo di concordato fallimentare, pilotato dal vecchio presidente del consiglio d’amministrazione, il re. Quest’ultimo, per dare un minimo di credibilità all’operazione, non può far altro che invitare a rientrare nel consiglio, i vecchi soci esclusi, ovvero i partiti congelati dal fascismo. Si tratta di uomini ed organizzazioni talvolta logorate e fatiscenti, ormai scollegate dall’opinione pubblica, oppure, come per i comunisti, decapitate del gruppo dirigente, in parte emigrato e custodito in Russia. 2 CLN Non è un’impresa facile, non dico riprendere efficienza operativa, ma almeno credibilità. Con questo obiettivo, viene istituito questo organismo, che proverà a mettere, sotto il suo controllo politico e militare, tutte queste formazioni partigiane, nate spontaneisticamente. Anzitutto bisogna scegliere, per il vertice, una figura altamente simbolica, di grande prestigio militare, in grado di incarnare il miglior spirito combattentistico della prima guerra mondiale. La scelta cade sul generale Raffaele Cadorna, figlio di Luigi, il comandante che ha trascinato l’esercito italiano fino alla disfatta di Caporetto. Oggi la sua immagine è molto criticata e dequalificata in questo senso. Invece allora, sull’onda della gran cassa combattentistica del ventennio, quel nome è ancora abbastanza prestigioso ed unificante. Nello stesso tempo, il figlio Raffaele, è stato abbastanza scaltro ed attento, a non compromettere la sua immagine, facendosi fagocitare completamente dalla dittatura fascista. Pertanto, può credibilmente accreditarsi come figura super partes, senza farsi trascinare insieme nel fango.
  • 34. CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 30 Il suo compito, insieme agli altri rappresentanti delle varie formazioni politiche, è quello di tener sotto controllo, non solo il fenomeno dell’aggregazione, ma anche la stessa operatività delle formazioni, che si vanno sviluppando nel nord. Questa struttura non appare interessata prioritariamente ad affrettare la vittoria, impresa per la quale sa benissimo di essere pressoché ininfluente, considerando le dimensioni dello scontro in atto. Nell’ipotesi più ambiziosa, spera di meritarsi, con questo impegno combattentistico, un trattamento meno punitivo, quando ci sarà la resa dei conti, con gli alleati vincitori. Senza dubbio, la priorità assoluta è quella di non lasciare spazio politico a forze sovversive, che possano sbarrargli la strada del ritorno, come, per esempio, quella dei comunisti, ma anche dei repubblicani, che si manifestano apertamente antimonarchici. Non si tratta di una astratta contesa, sulla funzionalità delle due istituzioni, ma di un giudizio dirimente sui misfatti della dittatura fascista, la cui responsabilità viene attribuita, in solido, al re. Tra coloro che la pensano in questo modo, dobbiamo annoverare Masaccio ed il dettaglio ha un’enorme importanza, sia per capire il suo pessimo rapporto con il CLN, che la sua eliminazione. 2.1 Una sovrastruttura burocratica, mal digerita dalla base partigiana Per inquadrare il contesto nel quale deve inserirsi la struttura del CLN, prendo come esempio il caso di Castelfranco Veneto. Subito dopo il 25 luglio, i fratelli Sartor, per i cattolici della futura DC, Magoga, per il morente partito cristiano sociale, i comunisti, con Pietro Bresolin, il partito d’azione, con Bossum e la Franceschini, si incontrano a casa del socialista Pacifico Guidolin, per concordare un’attività di comunicazione, volta ad accelerare il risveglio di una coscienza critica, nei confronti dell’esperienza fascista. Lo stesso gruppo si ritrova dopo l’8 settembre, con l’avvento della RSI, ora deve gestire anche il fenomeno dell’attività partigiana spontanea, attivata dai bandi di Graziani e dalla conseguente renitenza di massa. Le due uniche risorse disponibili, per i burocrati del CLN, sono il denaro ed il materiale degli aviolanci. 2.2 La loggia P2 monarchica, in dialogo permanente con le alte sfere del clero e della finanza Nell’incontro clandestino di Castelfranco Veneto, colpisce la giovanissima età dei futuri leader presenti. Una caratteristica che si addice ad un ruolo esposto al rischio ed a molti disagi materiali, ma non stiamo certo parlando di teste pensanti e di figure decisionali. Un dialogo, molto più importante, si svolge sopra le loro teste, il protagonista principale, il più potente elettoralmente, non è nemmeno l’élite finanziaria, ma, senza dubbio, il clero. Dubito fortemente che, qualche indizio di questa altissima sovrastruttura, sia percepibile nel carteggio burocratico del CLN, che appare sempre arido, noioso, distaccato dall’operatività combattentistica del momento. Le risorse finanziarie e la dotazione bellica hanno certamente un’influenza, ma soprattutto sullo sviluppo privilegiato di una componente partigiana, rispetto ad una meno gradita ideologicamente. Invece, ad avallare l’attività degli ultimi mesi, ambiziosissima e frenetica, di Perrillo, Carità e Borghese, che mirano apertamente, addirittura, a ribaltare il fronte negli ultimissimi giorni, bisogna per forza pensare ad un autorevole ed altissimo imprimatur del clero e dei potentati economici. Nella stessa ottica, solo questa altissima regia può autorizzare, non un singolo omicidio, ma tutta la serie di quelli esaminati, mettendo una pietra tombale sui processi e sulla stessa memoria. 2.3 La selezione dei comandanti partigiani Se l’obiettivo prioritario del CLN è quello di controllare l’evoluzione politica del movimento partigiano, è su questo fronte che si concentra gran parte della sua attività, fin dall’inizio.
  • 35. CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 31 Per l’efficienza militare, è prioritario scegliere comandanti tecnicamente preparati, cioè con esperienza di guerra e di comando, ovvero graduati. In Veneto c’è una grande disponibilità di alpini spesso reduci dalla ritirata di Russia, in genere molto patrioti, per nulla sovversivi, come vedremo nel capitolo 2.4, “ALPINI FASCISTI E PARTIGIANI”. Il governo monarchico teme, come la peste, i cani sciolti, quei soggetti carismatici, come Masaccio ed Adami, per esempio, restii ad essere condizionati e posti sotto controllo. 3 ALPINI EMISSARI DIRETTI DELLA MONARCHIA In certi casi, tra gli alpini fedelissimi della monarchia, sembrano apparire dei veri e propri professionisti della guerra, che hanno un legame minimo o nullo con la base. Assomigliano piuttosto ai così detti, “consiglieri militari” odierni, che le super potenze inviamo ovunque ci sia un focolaio di guerra, da tenere sotto controllo, al fine di tutelare i propri interessi strategici. Il loro rapporto con la base appare pressoché nullo, insomma, appaiono catapultati sul posto dalla monarchia. 3.1 Crestani, comandante del quadrante sud ovest, durante il rastrellamento Alpino di Bassano, ultrasessantenne, difficile immaginarlo fervente partigiano volontario. Compare alla ribalta, prima del rastrellamento del Grappa, posto al vertice delle formazioni del quadrante sud ovest, una figura simile alla sua, Pierotti, comanda quelle del versante sud est. Del passato di entrambi, si sa poco o nulla, le loro motivazioni ideali sono imperscrutabili, il loro ardore combattentistico non pervenuto. Certamente, nella scelta di questi comandanti, ha avuto un peso anche il parere degli alleati, che mantengono le loro missioni sul massiccio, anche se sono evidenti i sintomi della bocciatura del progetto, di farne una grande base strategica. Il suo effettivo comportamento, in quel frangente, è totalmente oscuro, le testimonianze lamentano una sistematica assenza di istruzioni, di collegamento. Almeno Pierotti, responsabile del quadrante sud est, cerca di salvare la faccia. Inscena una specie di resistenza iniziale, brevissima, per poi arrendersi seduta stante. Anche nel suo caso, sono ben noti i patteggiamenti con i fascisti, ben prima dell’operazione. Del resto, tutti, nella zona, sapevano in anticipo del pianificato rastrellamento. In proposito, è illuminante un libro, edito dalla curia di Vicenza, la quale ha ordinato ai suoi parroci di redigere una memoria dei fatti accaduti durante la resistenza. In quel frangente, i parroci del circondario del Grappa, con certezza anche don Menegon, per Loria, salirono in vetta a recuperare i loro fedeli ed a riportarseli a casa in tempo. Infatti, nel triste elenco degli impiccati, oltre a non esserci nomi di cittadini di Bassano, ci sono quelli di alcuni semisconosciuti o comunque provenienti da località relativamente lontane. Ovvero poveri sbandati, probabilmente sprovvisti di un rifugio dove correre in fretta. 3.1.2 Comandante ombra sul Grappa, poi in congedo a Mottinello Se Crestani non è esistito come comandante sul Grappa, come è potuto sfuggire al rastrellamento, passare inosservato, un pezzo grosso come lui? Per non farla lunga con i tanti pettegolezzi, mi limito a citare le testimonianze di due comandanti subalterni di Masaccio, uno dei quali è Andretta. Il quale ricatta, dileggia, terrorizza, urlando, la pecorella Crestani, ripetendo, come voce diffusa, come sia potuto sfuggire all’accerchiamento, per intercessione dell’amico Perrillo. La cronaca non menziona una qualsiasi reazione difensiva del nostro stratega.
  • 36. CAPITOLO 2.2: EMISSARI DEL GOVERNO MONARCHICO Resistenza veneta, la strage dei comandanti laici 32 Per puro caso, rovistando tra le testimonianze, ho scoperto che il nostro personaggio risulta poi domiciliato a Mottinello, guarda caso ospite del frate Nicolini, quando l’accoppiata Sabadin & Galli, lo riporta sulla scena come comandante militare della divisione Montegrappa, vedi cap. 2.3, LA POLE POSITION, par. 3.5, Le divisioni anticomuniste di pianura. In quel sicuro rifugio, ritrova, a fargli compagnia, Moro, arrestato da Perrillo nell’agosto dello stesso anno, un mese prima del rastrellamento. 3.1.3 L’infinita gamma dei doppiogiochisti Nel momento in cui li troviamo accomunati, nello stesso posto ed in una situazione tanto ambigua e compromettente, è interessante osservarli da vicino per cercare di capire meglio alcune sfumature tipiche, che distinguono le due figure standard. É un’esercitazione puramente didattica, una tantum, che può aiutare chi mi legge, a farsi un’idea della variegatissima fauna umana, di soggetti pseudo partigiani, in frenetica osmosi con l’apparato repressivo fascista. Per capirci subito, basta rifarsi alla nostra esperienza quotidiana, per quanto riguarda la lotta alla mafia. Chi riuscirebbe a catalogare le infinite tipologie, di infiltrati, collaboratori, pentiti ecc. che bazzicano quell’interfaccia? Posso sbagliarmi, ma Moro non mi appare banalmente catapultato nel ruolo, come l’”addetto militare” Crestani. È un laureato, forse tiene un po’ le distanze, ma si inserisce, fin dall’inizio, nei primi gruppi che si vanno coagulando, nella zona di Rossano, fianco a fianco del cognato Cocco. È sposato con una donna dell’élite borghese ed ultra fascista di Bassano. Cosa induce, un personaggio fortunato e di belle speranze, come lui, a bazzicare il mondo pericoloso e compromettente dei sovversivi locali, praticamente certo di essere presto scoperto? Possiamo ipotizzare che, considerata la sua complessa personalità, ci sia stato un momento, in cui ha corso dei rischi personali, semplicemente spinto da un ideale e non perseguendo un lucido progetto, puramente opportunistico? La figura di Crestani appare molto più semplice e meno amletica della sua. 3.1.4 Riappare, partigiano, proiettato al vertice della divisione Montegrappa Come vedremo in seguito, quando Sabadin & Galli ristrutturano l’organigramma delle formazioni della pedemontana, lo troviamo, affiancato a Masaccio, catapultato al vertice militare della divisione Montegrappa, vedi capitolo 2.3: LA POLE POSITION, par. 3.2, “Una rapida e profonda ristrutturazione dell’apparato militare”. Nelle fasi preliminari di questa ristrutturazione, riceve a casa sua, a Bassano, i comandanti militari della zona, compreso Masaccio, come scrive anche Filato. Crestani, sceglierà il consorzio di Ramon e la “stanza del tino” come ufficio, dove gli fa compagnia la spia Rocco di MRS e, nell’ultima settimana, il sodale Moro Ermenegildo, tolto, fresco, fresco, dal congelatore di Mottinello. Se esce da quella stanza, nessuno lo conosce e lo fa solo per stare alle calcagna di Masaccio, come uno sbirro. 3.1.5 A fianco di Masaccio, nel momento dell’omicidio È al suo fianco anche domenica 29 Aprile, quando Masaccio va a trattare la resa dei tedeschi, “asserragliati” nella casa dei Pioti. Invece Moro Ermenegildo non può essere presente, perché è già installato nella caserma dei suoi camerati alpini fascisti di Bassano, dalla quale ha già inviato un ordine scritto al subalterno Cocco, esplicitando che sarà lui (quindi non Masaccio) ad entrare, alla testa dei partigiani, nella città liberata.